L' unica cosa certa è che non è morto nel bunker di Praga nel maggio del 1945. Non si è suicidato come il Führer con un colpo di pistola alla tempia e neppure con il cianuro. La storia del «generale del diavolo» è ancora aperta, non finisce con un atto di giustizia, non ci sono tribunali, ma racconta la vittoria della ragione di Stato su qualsiasi scrupolo morale. Sono gli ultimi giorni del nazismo, Berlino sta per cadere e c'è un uomo che sta disperatamente cercando un modo furbo per salvare la pelle. Si chiama Hans Kammler e non sta cercando il perdono dei vincitori. Non lo cerca perché sa che nessuno potrebbe mai darglielo. È lui che ha progettato e diretto i lavori per la costruzione di tutti i campi di concentramento, forni crematori e camere a gas. È l'architetto dell'olocausto, quello che scandisce il tempo della soluzione finale per gli ebrei. È un generale delle SS. È un ingegnere. È il padre dei missili V2 e sta lavorando nell'immenso sistema di gallerie sotterranee sotto i campi di Ebensee, Mauthausen e Gusen per realizzare la bomba atomica. È una corsa contro il tempo. È una sfida per arrivare prima degli scienziati di Los Alamos, quelli del Progetto Manhattan, prima insomma di Little Boy e Fat Man, prima delle apocalissi americane. Hans Kammler è l'ultima speranza di Hitler. Quando tutto è perso il suo obiettivo è stipulare un contratto con i suoi nemici. È fare un affare che accontenti tutti.
Per anni ci si è interrogati su come fosse morto in quella notte del 9 maggio 1945, ci sono almeno sei versioni diverse e la sentenza di un tribunale. Poi qualche anno fa arrivano i primi dubbi: siamo sicuri che Kammler sia morto? C'è un'altra storia. Il generale il 15 luglio appare a Gmunden, in Austria, e si presenta agli ufficiali del Counter Intelligence Corps, il servizio di spionaggio di guerra statunitense. È li per proporre il suo affare. Cosa volete in cambio della mia vita? Risposta: tutto quello che puoi dare.
L'incontro è registrato in un documento declassificato nel 1978. Non c'è solo questo. C'è il racconto del figlio di Donald Richardson, uno dei più importanti agenti dell'Oss, quella che poi diventerà Cia. C'è una foto di Donald impettito dietro Roosevelt, di lato c'è Churchill, di fronte Stalin. Sono a Yalta, nel 1943. «È stato mio padre a interrogarlo in Austria. Me lo ha raccontato prima di morire. Ha dato a Kammler un nome americano, un indirizzo, un numero di telefono e un lavoro».
Kammler ci è riuscito. Si è comprato la sopravvivenza, l'America ha venduto la sua anima e lui ha pagato con quello che aveva di prezioso: informazioni. Tutti i suoi progetti sull'atomica. Finora era poco più di un sospetto, adesso però ci sono nuovi documenti che lo provano. L'agenzia di stampa Agi racconta di inediti raccolti dal regista austriaco Andreas Sulzer, che da anni lavora al mistero Kammler e dall'ingegnere polacco Marek Michalski, responsabile dei musei dei lager di Treblinka e Stutthof. Cosa sono? I verbali di un interrogatorio e un paio di lettere.
È il 30 maggio 1945. Kammler è al quartier generale dell'Us Air Force e davanti a lui c'è il colonnello Loyd Pepple. Il «generale del diavolo» parla, spiega, spiffera. Pepple raccoglie e spedisce a Washington tre elenchi. Il bottino di guerra: aerei, caccia, elicotteri, missili, strumenti radar. Quanto sono e dove si trovano. Le menti: scienziati, ingegneri e tecnici che lavorano nell'industria missilistica del Reich. Infine 34 nomi di personalità chiave in questo momento in stato di fermo e sotto interrogatorio. Il primo nome è Hermann Goering, poi il Feldmaresciallo Erhard Milch e Albert Speer. Al diciottesimo posto, ecco Hans Kammler, che doveva essere già morto da quasi due mesi. Gli altri trentatrè sono finiti a Norimberga, Kammler è dato per defunto.
Il motivo è in una lettera che il 2 novembre 1945 il generale di brigata George McDonald invia al maggiore Ernst Englander. Qui c'è scritto che ha ricevuto l'ordine da Washington di fornire dettagliate informazioni sui laboratori sotterranei delle Ss, in particolare quello di Gusen. Per farlo bisogna interrogare Speer e Kammler. McDonald sa benissimo e lo fa capire che sotto i lager si lavora per realizzare la bomba atomica. Queste lettere confermano le parole del figlio di Richardson: «Mio padre portò con sé quasi settanta chili di uranio. Uranio che probabilmente proveniva dalle gallerie sotterranee del lager di Gusen».
Gusen non era solo l'inferno dell'inferno. Sopra si moriva come bestie, sotto si lavorare per la bomba della morte bianca. Gusen era la Los Alamos nazista, sotterranea, segreta, bagnata dalle anime di chi stava sopra. Sette chilometri di tunnel larghi da 6 a 8 metri e alti da 10 a 15, un infinito reticolato di gallerie scavate dagli stessi deportati, con un livello di radioattività 26 volte superiore alla norma. Stanislaw Zalewski, un sopravvissuto, racconta del suo trasferimento da Auschwitz a Gusen: con sua grande sorpresa, sul treno scopre che tutti i suoi compagni di viaggio e di martirio sono chimici, elettrotecnici, scienziati. È l'esercito di schiavi che lavora giorno e notte per l'arma finale, l'unica che può sovvertire ormai le sorti della guerra. Al centro di questa speranza c'è Kammler.
Adesso sappiamo che quest'uomo non è morto dove doveva morire. È scomparso e ha cambiato nome, ma restano tante domande su quello che ha fatto dopo. Ha lavorato per gli americani? Le sue conoscenze e la sua intelligenza luciferina sono diventate lo strumento per la guerra fredda? Cosa ha fatto per anni il dottor Kammler? Quale era il suo nome americano? È stato un buon patriota? Cosa pensava mentre leggeva le cronache del processo di Norimberga? Ha avuto mogli, figli, nipoti? In quali università ha insegnato? Cosa raccontava del suo passato ai colleghi? Cosa leggeva negli occhi dei pochi che conoscevano la sua vera identità e il suo segreto? Come ha vissuto Hans Kammler, nato a Stettino il 26 agosto 1901?
Hans Kammler è il simbolo di un'America che non vorrebbe mai guardarsi in faccia, uno dei tanti segreti di un Novecento ancora tutto da raccontare, perché in fondo è ancora troppo presto e ci vuole tempo per fare i conti con i propri fantasmi. Ci sono poi delle porte del tempo che sono davvero scorrevoli e imprevedibili. Kammler ero lo stratega di un'enorme fabbrica della morte.
Non è riuscito ad essere abbastanza veloce, ma non era lontano dall'obiettivo. Bastava poco per cambiare tutto. Qualcuno dice, ma è una storia ancora tutta da raccontare, che gli scienziati tedeschi abbiano scelto di perdere. Abbastanza lenti da arrivare secondi.
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