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Morto Shankar il sitarista che cambiò i Beatles

«Il successo dà dipendenza. L'adorazione degli spettatori è uno stimolo molto più forte del denaro. Per questo un artista, a meno che sia ridotto davvero male, difficilmente sceglie di andare in pensione». Così il maestro del sitar Ravi Shankar (padre di Norah Jones, che lui non ha mai voluto riconoscere ufficialmente) spiegava la sua lunga (è entrato nel Guinness dei primati) e gloriosa carriera interrotta ieri, a 92 anni, quando non ha retto ad un intervento chirurgico al cuore. Il giorno del suo ricovero, una settimana fa, seppe di essere candidato al Grammy, che aveva già conquistato tre volte. Shankar è stato il re del raga - la musica classica indiana -, ed è diventato famoso in Occidente come guida spirituale e musicale di George Harrison, dopo aver collaborato con artisti come John Coltrane e Yehudi Menuhin. «Non è da tutti rinchiudersi per sette anni - scrive George Harrison nella prefazione alla autobiografia Raga Mala edita da Arcana - 18 ore al giorno, a studiare uno strumento sconosciuto in tutto il pianeta, per poi spendere il resto della vita a diffonderlo fra la gente». E Harrison ne fu il principale discepolo (da lì nacquero brani beatlesiani come Norwegian Wood o Love to You). Ma a lui piaceva Harrison, non i Beatles di cui diceva: «Le loro voci non mi facevano impazzire. (...) Molti dei loro pezzi mi piacciono, ma soprattutto amo Here Comes the Sun e My Sweet Lord di George». Con Harrison organizzò nel 1971 Concert For Bangla Desh, la madre di tutti i concerti rock benefici. Schivo com'era, nel 1967 affrontò la moltitudine hippie del Monterey Pop Festival (poi partecipò a Woodstock)e, da ex allievo della Indian People's Theatre Association (squadra culturale del Partito Comunista Indiano)rimase sconvolto dalla gente che lo circondava. «Non avevo mai visto gente vestita in quel modo - disse - erano tutti suonati».


Si scandalizzò quando vide Jimi Hendrix incendiare la sua chitarra sul palco: «È stato troppo per me. Nella nostra cultura abbiamo un tale rispetto per gli strumenti musicali: sono come parte di Dio». Nonostante questo è uno degli artisti che più hanno contribuito all'integrazione culturale tra Oriente ed Occidente.

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