Festival, concerti, eventi da mille e una notte fra Teheran, Persepolis, Shiraz. Accadeva nella Persia pre-Khomeini. Poi il buio: orchestre, conservatori e sale da concerto costrette a chiudere. Ora si risale la china. È stata rimessa in piedi la Sinfonica di Teheran, e così pure i conservatori, pur divisi fra femminili e maschili, si compongono festival (e con mezzi non certo paragonabili a quelli dei ricchi dirimpettai del Golfo Persico). Ma la grande scossa è arrivata giovedì, con il concerto delle Vie dell'Amicizia del Ravenna Festival. Un appuntamento voluto, sostenuto caparbiamente, dunque condotto da Riccardo Muti: direttore dell'orchestra numero uno degli States (la Chicago), fresco di un concerto in Israele e l'altro ieri - appunto - in Iran.
Una triangolazione storica, pur composta senza proclami. «Tra i Viaggi dell'Amicizia, questo è uno dei più importanti. Abbiamo messo da parte i se e i ma, e siamo partiti» ha spiegato Muti che ha fatto suonare i musicisti della Cherubini, con professori di orchestre italiane, dal primo violino e violoncello della Scala (rispettivamente Francesco Manara e Massimo Polidori), ad artisti del San Carlo di Napoli, dei teatri di Genova, Roma... E con loro, 50 professori della Sinfonica di Teheran, quindi coristi iraniani e del Comunale di Piacenza I tre cantanti solisti erano Piero Pretti, Luca Salsi e Riccardo Zanellato. Un esercito di musicisti italo-iraniani uniti nel nome di Giuseppe Verdi, «perché è il compositore che più ci rappresenta nel mondo, dovendo poi insegnare a musicisti iraniani, ho scelto Verdi: accessibile direttamente, senza mezzi termini». Chiaro l'obiettivo, di questo e dei precedenti Viaggi dell'Amicizia: «Non siamo qui per fare l'esecuzione del secolo», ma per dimostrare che la musica va oltre gli steccati politici e religiosi. «Io credo in un mondo di bellezza e di pace dove non dobbiamo vergognarci di dimostrare i sentimenti. La musica supera le parole, che possono essere interpretate male. La musica dice sempre la verità del cuore, quella che non ha religione e politica» dice il Maestro. Dall'epoca dello Scià, nessun artista di rilievo, dunque impattante anche da un punto di vista mediatico, aveva messo piede in questa disgraziata terra d'ossimori, che esala poesia, ma è costantemente trafitta da guerre, embarghi, dinieghi. Il direttore della Sinfonica Shardad Rohani ripone tanta fiducia nella serata di giovedì: «È un segnale molto forte al mio Paese. Un concerto storico, sono sicuro che avrà una forte ricaduta», confida. Un concerto in forse fino all'ultimo data la tipologia del Paese in sé, quindi con la minaccia dell'attentato terroristico e, nel frattempo, delle elezioni presidenziali.
In Iran si parla di ripresa, si confida nel secondo mandato del presidente Hassan Rouhani, moderato e progressista, si spera in sempre più aperture da parte di questo Paese sorvegliato e sorvegliante speciale, dove vigilano gli occhi di vetro di telecamere sparse ovunque, cautela e circospezione sono caldamente richieste, soprattutto se sei donna. È stato impegnativo realizzare il concerto, originariamente si doveva tenere negli ampi giardini nazionali, ritenuti insicuri dopo l'attentato. Si è così scelta la Vahdat Hall, teatro da 750 posti. Biglietti venduti in 4 ore, gente anche in piedi per il concerto ufficiale con il Ministro dell'Economia, il vice della Cultura e degli Esteri nel parterre, quindi a una folta delegazione di ambasciatori. Applausi scroscianti. Gioia.
Questo si è avvertito l'altra sera: una energia, reattività ed entusiasmo che sono la cartina di tornasole di un Paese dove è evidente lo scollamento fra poteri forti e cittadinanza, restrizioni religiose e stili di vita. Per esempio. Non si possono fare riprese televisive che includano la vista di strumenti musicali, così come le donne non possono cantare arie da solista. Perché? «Purtroppo non c'è risposta logica a questo», dicono chiedono l'anonimato.
Durate le prove, Muti si è congratulato con le voci femminili per l'efficienza e compostezza: più brave dei colleghi, commenta scherzando. Si solleva un applauso, c'è voglia di riscatto. E tutto questo, sotto l'immagine accigliata dell'ayatollah Khomeini. Presentissimo ovunque.
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