"Né buono né cattivo Sono un giullare e sbeffeggio la realtà"

Il rocker ancora in pista col disco Sono innocente, tra chitarroni metal e ballate anni Ottanta: "Vorrei saper parlare come canto"

"Né buono né cattivo Sono un giullare e sbeffeggio la realtà"

Bari - Insomma ci sono sempre due Vasco. Quello che canta. E quello che parla. Separati alla nascita. Lui stesso lo ha ammesso nello special che andrà in onda mercoledì sera su Sky Arte: «Mi piacerebbe anche saper parlare come canto». Come canta si riconosce subito anche nel nuovo disco Sono innocente , in uscita martedì, gonfio di chitarroni metal e ballate anni Ottanta, quelle insomma che solo Vasco. Come parla si è sentito ieri Medimex, la «tre giorni dell'innovazione musicale» che lo ha ospitato: «C'è chi divide il mondo tra buoni e cattivi dicendo che i buoni dormono bene di notte e i cattivi vivono meglio di giorno: io me la sono cavata sempre bene sia di giorno che di notte, quindi mi sento fuori categoria».

In effetti Vasco lo è. Cappellino su testa rasata, giacca paramilitare e sneakers borchiate, ha dato il sottotitolo del suo nuovo disco: «C'è il Vasco di ieri, di oggi, di domani». E forse per questo Sono innocente ha tre copertine diverse: «In una vengo accusato e mi difendo, nell'altra sono interrogato e nell'ultima invece accuso». Vasco uno e trino, oppure uno e basta perché in questi trentasei anni di carriera ha indossato solo vestiti diversi sopra la stessa anima. Quella di ieri è soprattutto in Marta piange ancora che, parola sua, «ho scritto a quindici anni e ho voluto rifarla come si deve». Quello di oggi è molto rock e quindi «non conosce il grigio perché il rock è provocazione e sberleffo e anche sesso». Anzi, parafrasando Woody Allen, «il sesso è la roba più divertente che faccio senza ridere».

Quando parla, Vasco Rossi ha sessantadue anni solo per finta. È timido, quasi impacciato e non per nulla ha una sorta di canovaccio scritto su di un bloc notes giallo: «Vivi come se dovessi morire domani, ama come se dovessi amare per sempre». E gli applausi in platea sarebbero stati molto più fragorosi se avessero potuto entrare tutti i fan bloccati fuori dagli uomini della sicurezza. Vasco, basta la parola. «Questo è un album di nuova consapevolezza e vecchi rancori. C'è ancora qualcuno che vuole processarmi ma non sono preoccupato: quando c'è l'onestà, dell'innocenza posso anche fare a meno». Dopotutto a lui piace così, piace il mondo deuteragonista. Pro e contro. Vivere o niente: «Conosco bene il male di vivere, ne sono affetto da sempre». Per guarire, sempre che ci sia riuscito (difficile), ha iniziato la psicanalisi attraverso le canzoni, partendo da Albachiara che era «una notevole provocazione perché parlava di una ragazzina di tredici anni, vista nella sua innocenza e purezza, e finiva a parlare di masturbazione femminile»: “Con una mano una mano ti sfiori tu sola dentro la stanza e tutto il mondo fuori” (lo conferma nello special di Sky Arte).

Poi ci ha provato con le droghe: «Io vengo dagli anni '70, gli anni di Allen Ginsberg che diceva “allargate l'area di coscienza prendendo gli acidi”. Noi usavamo le sostanze, non ci facevamo usare da queste. Ma l'eroina non l'ho mai toccata: sono sempre stato molto attento a non provarci perché so che è una sostanza dalla quale non ti liberi più». Di certo non si è mai liberato, e come potrebbe?, dalla capacità di creare slogan generazionali. Pure su Sky Arte ne ha tirato fuori una: «Io non faccio quello che si vende, io vendo tutto ciò che faccio». E senza dubbio questo disco venderà in ogni modo: è potente, immediato, fatto apposta per combinare gli show da stadio (e a giugno e luglio canterà in 14 stadi italiani) con le ballate che ne hanno costruito un profilo unico. «Socrate era il corruttore delle coscienze e quindi gli hanno dato la cicuta: io ho inciso queste canzoni e vedremo che cosa mi daranno», provoca a mezza voce.

Tanto, chi lo abbatte? Non ci sono riusciti gli eccessi, non ce l'ha fatta manco la malattia, figurati se lo stronca qualche stroncatura: «Sono sempre rimasto in piedi come Rocky e quando sono caduto non sono caduto come un pollo» dice riferendosi al testo di Sono innocente ma... Ormai ha pure imparato ad astenersi, per lo meno dalle battute politiche. Tutt'al più gli sfugge un «Renzi era la speranza del Pd, ora non lo so. Mi chiedete dove finiremo, ma io piuttosto mi chiedo dove siamo già finiti». E stop. In fondo «sono il giullare e sbeffeggio la realtà anche se cerco di leggere pochi giornali perché preferisco leggere libri».

Alla fine Vasco Rossi, che ha sempre quell'accento emiliano di chi proprio non si toglierà mai di dosso il sapore della propria terra (ora vive in un doppio enorme attico a Bologna), continua a vivere in una parentesi tra il rock e la cronaca.

E quando ne esce, come ieri per le poche ore tra stampa e tiggì, ha il candore spaurito di un adolescente, quelli che sono capaci di picchiare duro sul palco appena una chitarra li accende ma poi accarezzano l'amore con la dolcezza del poeta di strada che se poi deve spiegarsi abbassa gli occhi timidi. Come ha fatto ieri Vasco parlando del suo disco in attesa che tutti gli altri alzino il volume. E gli diano coraggio un'altra volta.

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