Di norma, quando gli intellettuali affrontano il calcio rimangono stregati da storie dove la sconfitta ha più pathos della vittoria, l'incompiutezza ha più appeal di un record, la meteora intriga più del campione. C'è tutta una linea di storie del pallone romantico, dell'apologia della sconfitta, racconti ambientati in Sud America che di quel calcio si portano dietro saudade, tanguedia e malinconia. Capitano di questa formazione fu Osvaldo Soriano, letterato raffinato e grande appassionato di football, ma attenzione il calcio è una cosa seria, troppo seria per trasformarla in surrealismo o metafisica.
Scrivere di calcio risulterà così una delle imprese più ardue, intanto per il concreto rischio di venir superati dalla cronaca e poi perché oggi inventarsi nuove mitologie che sfuggano allo sguardo analitico delle mille televisioni è pressoché impossibile. Prima regola, dunque, affidarsi a un accadimento congelato: chi parla di George Best dice sempre le stesse cose, cominciando dalla battuta sulle auto e sulle donne, il giudizio su Diego Armando Maradona continua ancora a oscillare tra il campione straordinario e l'uomo molto discutibile. L'Olanda di Cruijff resterà ancora la nazionale più forte degli anni '70 pur non avendo vinto mai nulla e non è ammesso alcun criterio revisionista nei confronti della solida e pragmatica Germania, campione del mondo solo per la statistica, gli Orange sembravano loro i veri trionfatori nel 1974.
Chi abbia ambizioni autentiche di coniugare sport e letteratura scivolerà inevitabilmente in mitologie già descritte, lontane nel tempo, eppure negli ultimi anni il mercato editoriale di settore si è riempito di monografie dedicate a Cristiano Ronaldo, soprattutto da quando gioca nella Juventus. Una trappola mortale, perché CR7 avrà segnato altri gol rispetto a quanti ne leggiamo in questo momento, 701 o forse più, destinato (lo dico da juventino) a vincere ancora entusiasmando così quei nuovi tifosi, che dal 3 aprile 2018, dalla sera torinese della straordinaria rovesciata si sono preparati ad accoglierlo.
Cristiano Ronaldo. Storia intima di un mito globale è l'ultimo studio (in ordine di tempo) sul giocatore più forte del mondo in attività. Lo pubblica 66thand2nd (pagg. 232, euro 17) e lo scrive Fabrizio Gabrielli, vicedirettore della rivista on line Ultimo uomo, specialista di calcio sudamericano. Che cosa avrebbe questo libro di diverso dagli altri? Intanto non è un'agiografia e neppure il dettagliato resoconto su prodezze e numeri del campione. Gabrielli entra molto nel libro divagando, raccontando i fatti suoi. Ha così tanta necessità di ergersi a protagonista da rivolgersi con il tu a Cristiano Ronaldo, eppure si suppone che neppure si conoscano. Oriana Fallaci permetteva il tu solo a pochissimi amici e ai bambini, ecco dovremmo essere più parchi nell'offrire e pretendere confidenza.
Sacrificando il rigore cronologico a vantaggio di episodi salienti, Gabrielli elabora un prodotto di non-fiction solo a tratti convincente, quando la lingua si fa meno pretenziosa e romanzesca, ricordandosi che l'oggetto in questione è il campione che insieme a Lionel Messi ha preso tutto ciò che c'era da prendere non lasciando neppure le briciole. A proposito, chi meglio, il fantasista argentino del Barcellona oppure il robotico CR7 cresciuto al Manchester United, affermatosi al Real Madrid che infine ha scelto la Juventus che è come dire il calcio italiano? Una rivalità mai celata dalla diplomazia, i due non si sono mai potuti sopportare.
La madre Dolores che lo chiama Ronaldo non perché le piacesse il centravanti brasiliano ma come omaggio a Ronald Reagan, partito da un ruolo di comprimario e diventato presidente degli Stati Uniti. Il padre che non lo ha mai visto crescere. Tre figli avuti da madre donatrice prima dell'incontro con Georgina. L'ingente somma dovuta al fisco spagnolo e il sospetto di atti sessuali violenti. Fatti ampiamente trattati e vivisezionati, sui quali non c'è da aggiungere molto, tranne forse che oggi CR7 guadagna più dai social che dal pallone, cifre che neppure riescono a restituire la portata del fenomeno.
Mito globale è certamente definizione indovinata, perché nel mondo vi sono più tifosi di CR7 che di qualsiasi altra squadra e questo la dirigenza bianconera ben lo sapeva prima di concludere l'operazione calcistica del nuovo millennio. In poco più di un anno a Torino, Cristiano è apparso persino diverso, ha segnato molto eppure ci si poteva aspettare di più, ha vinto lo scudetto ma ha mancato la Champions League. Un Ronaldo addirittura uomo-squadra, non quello secondo Gabrielli concentrato solo su se stesso, il che non gli ha certo tolto la fame né le solenni arrabbiature. Di CR7 si parla come di un fenomeno culturale e non solo sportivo.
La sua immagine ha sostituito quella di Kate Moss negli anni '90 e di Obama nei Duemila. Fosse vivo Andy Warhol l'avrebbe trasformato in qualcosa di più forte della Marilyn contemporanea, il segno indelebile del nostro tempo.
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