Nell'Alaska di Dave Eggers solo la noia è selvaggia

Una madre lascia tutto e se ne va in camper con i figli piccoli. Fra documentario e sociologia da strapazzo

Nell'Alaska di Dave Eggers solo la noia è selvaggia

Alcuni miti duri a morire: uno per tutti, quello del Buon Selvaggio. Della natura in cui ritrovare se stessi. Unito, di solito, alla critica del capitalismo e della modernità, e ultimamente ci sta bene anche un comizietto contro l'America di Donald Trump, magari per vendere qualche copia in più di un romanzo. Così Dave Eggers, il quale con Eroi della frontiera (Mondadori) scrive il suo romanzo più banale e mortalmente noioso, benché prontamente elogiato dai radical chic di ogni paese. La trama, sentite qui: una dentista, Josie, insoddisfatta dalla vita cittadina, dal marito che l'ha lasciata, dal lavoro, lascia tutto e parte in camper con i due figlioletti per l'Alaska, alla ricerca di se stessa o non si sa che. Il risultato è uno sbadiglio continuo da pagina uno fino alla fine, dove non succede nulla, e dove sono partoriti pensierini sulla natura selvaggia che già un bambino di otto anni ne fa di migliori. Per cui si va alla ricerca di «un'esistenza schietta e lineare incentrata sul lavoro, gli alberi e il cielo, proprio l'atteggiamento che Josie andava cercando negli altri e in se stessa». È il romanzo perfetto per i Cinque Stelle e i teorici della decrescita felice.

Nel frattempo, durante il viaggio, si va allo zoo e ci si intristisce, perché gli animali sono prigionieri, però in lontananza si vedono delle pecorelle e si prova gioia, come Heidi: «La pecora sembrava contentissima della sua vita e non aveva nessuna preoccupazione al mondo, anche se stava su una sporgenza di mezzo centimetro». La morale è l'invidia della pecora. Però poi arriva un'aquila, artiglia la pecora e la uccide, e ci si intristisce di nuovo, stai a vedere che la natura è cattiva? Ma no. Dopo cinquanta pagine di cene sul camper e sdilinquimenti al chiaro di luna, colpo di scena, si vedono delle lontre, bellissime. E poi cervi, scoiattoli, cani selvatici, tutta la fauna dell'Alaska minuto per minuto.

Infinite le descrizioni paesaggistiche, ma perfino la guida Touring sa farne di migliori: «l'acqua uno specchio scuro», «sotto il sole screziato», ancora l'acqua «che affluisce tumultuosa», il «bellissimo lago rotondo, la superficie così limpida e placida che il cielo si specchiava in perfetta simmetria», o «le montagne bianche che si levano al di là come un muro di presidenti morti». Mai viste delle montagne che sembrano presidenti morti, al massimo il monte Rushmore, ma tant'è. Infinite anche le domande e risposte con i due bambini, come se fossero interessanti, tipo: «Chiese ai bambini se volevano qualcos'altro. Non volevano nient'altro ma lei li convinse che volevano un po' di biscotti che aveva visto dentro un barattolo sul bancone al piano di sotto». Questo è il massimo del dialogo.

Come il massimo dell'analisi sociologica è che in Occidente si ordina una cosa al ristorante e te ne danno un'altra e allora si diventa vendicativi e si mette un feedback basso. «Viviamo in un'epoca vendicativa. Non ti hanno dato il pollo all'arancia che hai ordinato o il riso glutinoso? Ingiustizia! Ergo: vendetta! Vendetta per i reati del proprietario del ristorante! Questa la nostra versione contemporanea dell'equilibrio, della verità spiattellata in faccia al potere. Vendicarsi del proprietario del ristorante sul sito di recensioni del cliente!». Dovrebbe essere una riflessione molto profonda. In compenso ovunque vadano spendono cifre pazzesche per mangiare di merda: «Mangiarono a una tavola calda del campeggio, uova e salsiccia per la modica cifra di cinquantacinque dollari». Li spennano perché non li sopportano più neppure gli eschimesi.

D'altra parte questa Josie più si spinge in Alaska più è rincoglionita. Rimugina sulla sua vita passata pensieri del genere, che neppure Eugenio Scalfari a quattro mani con Francesco Piccolo: «Adesso ci sono, striscianti come malerba che senza volerlo soffoca e uccide, queste nuove mezze responsabilità, che reprimono la vita sul nascere del giardino, che potrebbero essere considerate la produttività umana e il prodotto interno lordo». Ogni tanto perfino Josie ha delle illuminazioni fondamentali, guardando i bambini: «Perché li aveva portati in Alaska, in un posto nuovo ogni sera?». Già, perché? E te ne rendi conto a pagina duecento brutta cretina? Ha fatto benissimo il marito a lasciarla. Di baia in baia, a un certo punto «si domandò quanto fossero stati realmente vicini alla morte. Sarebbero potuti morire a metà mattina di una giornata di sole in Alaska?». Ma magari.

Invece i tre incontrano incendi, alluvioni, tempeste, valanghe, ma per sfortuna del

lettore niente li uccide. Unica compassione per i poveri bambini innocenti. Unica utilità del romanzo: non farvi mettere più piede in Alaska, farvi rimpiangere perfino Mauro Corona, e rendervi dei simpatizzanti di Trump.

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