Vista dal punto di vista della tradizione europea del romanzo, Edith Wharton sembra di percepirla come una scrittrice di fine Ottocento. Audace, ma non ancora libera nella forma quanto una Virginia Woolf, che scriveva più o meno negli stessi anni. Ma considerandola dalla prospettiva statunitense, che è poi il Paese in cui si formò prima di trasferirsi definitivamente in Francia e lì morire (nel 1937), Wharton ci fa capire quanto sia stata in grado di spezzare un senso della convenzione che apparteneva al romanzo (quello vittoriano) quanto alla società e ai suoi costumi (quelli newyorkesi a cavallo tra '800 e '900). La questione è spiegata dalla scrittrice nel suo libro di memorie, Uno sguardo indietro (Elliot, trad. di Maria Buitoni Duca, pagg. 304, euro 12,50). La Wharton chiarisce come, nella società newyorkese del suo tempo, l'essere scrittori, per una donna poi, fosse qualcosa di cui vergognarsi.
Sarà per questo l'ambiente in cui visse che nelle pagine troviamo pochi nomi noti (salvo quel capitolo dedicato a Henry James, uno dei suoi migliori amici, qui svelato in tutta la sua intelligenza e anche nelle sue fragilità), nonostante la Wharton sia stata una viaggiatrice instancabile, e ogni anno visitasse l'Europa. Wharton era abituata a una vita poco sociale, o a una società che di intellettuali ne conosceva pochi. Preferiva curare il giardino, viaggiare, vivere la sua solitudine e confrontarsi con pochi intimi amici. Da questa solitudine e da questa scarsa considerazione, che è poi stata capace di trarre ispirazione per i suoi maggiori libri. E sono romanzi, i suoi, in cui i personaggi, specie femminili, lontani dall'essere delle eroine, sono capaci di costruirsi una personalità che spezza ogni convenzione.
E penso, per esempio, a Charity di Estate e ovviamente a Ellen de L'età dell'innocenza romanzo che nel 1921 le valse il Premio Pulitzer (per la prima volta assegnato a una donna) e da cui Martin Scorsese trasse il suo film più viscontiano. Ma le pagine più belle di Uno sguardo indietro sono quelle in cui Wharton racconta il suo rapporto con la scrittura, il modo in cui lavorava. Pagine che smentiscono l'accusa di essere appena una James al femminile.
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