Giovanni Sartori ha sottoposto a una serrata critica il multiculturalismo in un saggio uscito l'anno precedente l'attacco alle Twin Towers. Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla società multietnica (Bur, 2000) causò reazioni meno furiose ma paragonabili a quelle suscitate da La Rabbia e l'Orgoglio di Oriana Fallaci. Tra parentesi, quando la scrittrice fiorentina si trovò accusata da Dacia Maraini e Tiziano Terzani sul Corriere della sera, fu proprio Sartori a prenderne le difese replicando con un duro articolo intitolato Uditi i critici ha ragione Oriana.
Torniamo al libro che suscitò scalpore tanto da richiedere, nel 2002, una ristampa con un'Appendice nella quale Sartori non solo non ritrattava ma rincarava la dose. Il pluralismo, scriveva lo studioso, è fondato sulla tolleranza e valorizza la diversità. La società pluralistica è la società aperta teorizzata da Karl Popper: «In quest'ottica la domanda che più ci assilla è: aperta di quanto? La società aperta quanto aperta può diventare? La elasticità (apertura) della società aperta è attualmente messa a dura prova sia da rivendicazioni multiculturali interne (come negli Stati Uniti), sia dalla massiccia pressione di flussi migratori esterni (come è soprattutto il caso dell'Europa)».
Il multiculturalismo «è anti-pluralistico». I suoi presupposti conducono alla «secessione culturale» e alla «tribalizzazione» perché fanno «prevalere la separazione sull'integrazione». Sartori smontava teorici come Charles Taylor (Multiculturalismo scritto con Jürgen Habermas, Feltrinelli, 1998). Secondo Taylor l'identità è plasmata dal riconoscimento da parte degli altri. Il mancato riconoscimento è una forma di oppressione. Tutte le culture meritano uguale rispetto perché hanno uguale valore. Lo Stato deve quindi intervenire con politiche del riconoscimento a vantaggio delle minoranze. Sartori contestava questa visione. Tutte le culture meritano uguale rispetto ma non hanno uguale valore. Soprattutto, le politiche del riconoscimento sono contrarie ai presupposti della società pluralistica. Le rivendicazioni di un numero crescente di minoranze (spesso astoriche e inventate di sana pianta) portano «a leggi diseguali caratterizzate da eccezioni». Ecco il cuore della spiegazione di Sartori: i diritti di cittadinanza dello Stato liberale sottraggono l'individuo all'arbitrio perché le leggi si applicano senza distinzioni. Al contrario, la moltiplicazione dei diritti, attribuiti in funzione dell'appartenenza a una minoranza culturale e protetti da leggi ad hoc, porta alla frammentazione e reintroduce l'arbitrio. Allo Stato è attribuito il dovere di intervenire e il potere di discriminare. Netto il giudizio: «Il passo all'indietro è mastodontico».
Il libro affrontava anche il tema dell'immigrazione e dell'integrazione. Quest'ultima diventa problematica quando l'immigrato appartiene a una cultura «fideistica o teocratica che non separa lo Stato civile dallo Stato religioso e che riassorbe il cittadino nel credente». Il riferimento agli immigrati provenienti dai Paesi di cultura islamica era trasparente.
Per niente accomodanti le conclusioni: «La banale verità è, allora, che l'integrazione avviene tra integrabili e pertanto che la cittadinanza concessa a immigrati inintegrabili non porta a integrazione ma a disintegrazione».
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