«Non era la Rai ma la palestra per tante showgirl»

Domenica maratona di sedici ore per ricordare la celebre trasmissione La soubrette: «Macché lolite, avevamo pantaloncini e zero trucco»

Eleonora Barbieri

Sarà un Non è la Rai day, una maratona di sedici ore (in onda domenica su Mediaset extra) per festeggiare i venticinque anni della trasmissione con le ragazzine protagoniste che in quattro stagioni (prima su Canale 5, poi su Italia 1) è diventata un fenomeno: sociale, di costume e di spettacolo, perché è dal salotto pomeridiano creato da Gianni Boncompagni e Irene Ghergo che sono nate tante future attrici, showgirl, conduttrici della tv e del cinema italiano. In quella prima puntata di 25 anni fa, il 9 settembre del 1991, c'era anche Antonella Elia (ora 52 anni), che è stata una delle protagoniste della prima edizione di Non è la Rai.

Che ruolo aveva?

«Di soubrette, con Yvonne Sciò ed Enrica Bonaccorti, che conduceva. E poi c'erano tutte le ragazze, venute fuori un po' per volta: Miriana, Laura, Ilaria, Eleonora...».

Che cosa facevate?

«Ballavamo, cantavamo, facevamo i giochi. Erano le prime canzoni per me, con grande disperazione dei maestri: ero de coccio... Emozionatissima: bisognava preparare le performance in uno, due giorni al massimo».

Eravate in diretta.

«Sì. Era un collegio gigantesco, dove si aggiravano decine e decine di ragazze. Oggi il varietà del sabato sera non c'è più: Non è la Rai era la versione per adolescenti, con performance da preparare molto velocemente. Un'ottima palestra».

Così tante ragazze, quanta competizione c'era?

«Una competizione naturale. Tutte dovevano mettersi in vista agli occhi di Boncompagni, un regista grandioso, anche nei rapporti umani: doveva gestire un set enorme, oltre cento persone, un deus ex machina».

Insomma c'era concorrenza?

«Sì, era normale sentire la competizione, come io la sentivo con Yvonne, ma non c'era odio: era un voler essere brave, farsi vedere, inquadrare. Il primo anno comunque fu un successo devastante, me lo ricordo bene».

Che cosa succedeva?

«I ragazzi ci aspettavano fuori, servivano le guardie del corpo per entrare nel palazzo, ti seguivano per strada. Un delirio, davvero. Io non ero abituata a un successo così grande: è stata una esposizione improvvisa e violenta, imbarazzante anche».

Imbarazzante?

«Non sai come comportarti, a quell'età. Un successo del genere crea angoscia: non ero felice, ero spaventata. Ma anche esaltata».

E Boncompagni com'era?

«Con me molto gentile, affettuoso, un giocherellone. Non l'ho mai visto trattare male qualcuno, strillare o arrabbiarsi. Era un po' il direttore del collegio, però buono. Un maestro gentile, come si dice quando uno ti guarda e sorride.... sornione?»

È stato anche criticato: tutti quei corpi esibiti...

«Mah, se ci sono state critiche, credo sia stato del buonismo e del moralismo da poco. E allora oggi? C'è un degrado assoluto, alla tv si vede qualunque cosa».

Ma le ragazzine erano molto giovani.

«Sì, ma andavano a scuola, c'erano le loro mamme. Erano perbene, acqua e sapone. Era un mondo innocente, non ci ho mai visto malizia. Vabbeh portavamo la minigonna, ma ai piedi avevamo le scarpe da ginnastica e sotto i pantaloncini...»

I pantaloncini?

«Tonnellate di pantaloncini. Mica il perizoma, o le tette fuori. E poi le calze, ricordo che Irene Ghergo voleva che indossassimo le calze, non voleva vedere le gambe nude. Eravamo vestitissime. E alle ragazze era vietato truccarsi: niente rossetto, niente rimmel. Eravamo sollecitate a essere castigate, non a provocare».

Tutte volevano partecipare.

«Le ragazzine si scannavano per farlo, è diventato un fatto di costume. Quanti programmi, dopo 25 anni, sono ricordati ancora con così tanto successo? La gente ancora mi ferma per strada e mi dice: Sono cresciuto con te, ti volevo così bene. Ricevevamo migliaia di lettere, casse intere, passavo le domeniche a leggerle».

Perché alcune sue colleghe hanno poi «sconfessato» il programma?

«Davvero? Ognuno si deve creare il suo personaggio, magari si ritiene più figo sconfessarlo. O magari non si sono divertite e non vogliono ricordarlo».

Lei si è divertita?

«È stato un grande choc per me. Faticoso, impegnativo, ero stressatissima: volevo essere brava, bella, all'altezza. Eravamo cavalli da corsa: adrenalina a mille, ogni giorno. Una prova vera. Però devo molto, moltissimo, a Non è la Rai e a Boncompagni. Era una famiglia immensa».

Insomma, tutto così bello?

«Eh, ma lo era.

Una volta ricordo che Boncompagni si arrabbiò perché non imparavo le parole delle canzoni in playback, ma facevo già fatica con le mie... Mi disse: Basta, devi impararle. Ecco, questo di negativo. Che altro? Non mi viene in mente niente».

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