È difficile stabilire con precisione la ragione per la quale i lettori amano così tanto le storie sugli assassini seriali. Secondo Freud in ognuno di noi si fronteggiavano due pulsioni contrastanti: il bene contro il male. Se è difficile credere che sia questa il segreto del successo di un genere che non sembra risentire di crisi, viene allora da domandarsi cosa piace al pubblico di queste storie cruente, disseminate di cadaveri e di serial killer.
Per capirlo dobbiamo cominciare dal primo assassino seriale di cui la letteratura ha notizia: l'ambiguo mister Hyde, che abbiamo imparato a conoscere in Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, frutto della penna di Robert Louis Stevenson. Era il 1886 quando venne pubblicata la prima edizione del romanzo e fino a quel momento il mercato editoriale non aveva dato spazio a libri di quel tipo. Fu un successo straordinario anche perché le due personalità del protagonista, di giorno uomo rispettabile e di notte assassino, anticiparono di decenni il pensiero Freud. Ciò che piacque al pubblico, fu però a mio parere un altro dettaglio: era rassicurante che la storia non fosse ispirata a fatti reali. Un modo per frapporre un vetro tra il reale e la fantasia. Sarà per questo, che nella letteratura classica i veri serial killer, salvo rari casi, non hanno trovato molto spazio? E dire che di esempi ce ne sono stati diversi: avete mai sentito parlare delle matrone avvelenatrici sotto il consolato di Claudio Marcello, tre secoli prima di Cristo? O del principe cinese che si macchiò di oltre cento delitti? Non sapremo mai quanti furono davvero, ma di certo le pulsioni che animarono questi assassini sono rimaste più o meno invariate fino ai giorni nostri: si va dalla violenza carnale dei delitti del maresciallo Gilles de Rais nel XV secolo, fino al cannibalismo di un certo Sawney Beane, uno scozzese vissuto nel XVI secolo.
Il cannibalismo, appunto. Tra tutte le perversioni dei serial killer, non si può non menzionare quella che più ha affascinato il grande pubblico. Hannibal Lecter è infatti il cannibale più conosciuto, colui che ha reso celebre l'autore Thomas Harris quando nel 1988 pubblicò Il silenzio degli innocenti. La storia dello psichiatra e criminologo che uccideva e si cibava delle sue vittime ha avuto una memorabile trasposizione cinematografica con Jodie Foster e Anthony Hopkins, che per la sua raggelante interpretazione vinse anche l'Oscar come migliore attore. Ma quando si apre un filone redditizio come quello di Hannibal, non si può pensare che tutto si esaurisca con un libro e un film. Lo stesso Harris e poi gli sceneggiatori di serie TV hanno così dato vita a prequel e sequel, che raccontano il prima e il dopo del Silenzio degli innocenti. La serie televisiva che ci svela le vicende del giovane Hannibal (2013) benché più sfortunata delle pellicole cinematografiche è solo una delle tante che negli anni hanno riempito le nostre serate. Ed ecco che dalla carta siamo così passati con grande agilità anche alla TV.
Se si volesse, senza pretese di completezza, stilare un elenco delle migliori fiction sui serial killer, non si può non menzionare Dexter, andata in onda per 8 anni a partire dal 2006 e che tornerà con una nuova stagione inedita nell'autunno 2021. La storia del mite Dexter Morgan, consulente della polizia con tendenze omicide, ha di fatto sdoganato il mito dell'assassino a cui affezionarsi. Basata sul romanzo La mano sinistra di Dio di Jeff Lindsay, in Dexter, il protagonista uccide solo persone che a suo giudizio lo meritano: criminali sfuggiti alla giustizia, assassini a loro volta, stupratori e pedofili.
Tornando ai libri, come non citare il serial killer Norman Bates del romanzo Psycho (1959) di Ro-bert Bloch oppure Pennywise del romanzo IT (1986) dell'intramontabile Stephen King? O ancora l'Alienista di Caleb Carr, dove una New York cupa e gotica strizza l'occhio (e forse qualcosa di più) alle ambientazioni vittoriane londinesi di Jack Lo Squartatore. In tutti questi casi, le trasposizioni in live action hanno dato notorietà alle storie che gli autori avevano tratteggiato sulla carta e hanno di fatto aperto un filone anche nella TV a pagamento. Sia Netflix che Amazon Prime, visto il successo di pubblico, hanno infarcito i loro palinsesti con svariati show in cui il piatto principale era il serial killer. E quando non c'era un libro a cui ispirarsi, hanno attinto dalla vita reale.
Menzione d'onore, sotto questo aspetto, merita The Serpent. Qui il vetro che proteggeva lo spettatore sembra recedere sotto il peso della realtà. Non si parla più di assassini seriali immaginari, ma di criminali realmente vissuti. La miniserie britannica racconta infatti degli omicidi del venditore di gioielli francese Charles Sobhraj, alias Alain Gautier. Ricercato per anni, l'enigmatico protagonista della serie ha un innegabile fascino. Sarà forse la Bangkok teatro dei suoi crimini o il fatto che Sobhraj è stato assicurato definitivamente alla giustizia solo perché lui stresso si è consegnato, ma The Serpent è una serie certamente ben riuscita, con un ritmo sempre alto e che tiene viva l'attenzione dello spettatore.
Concludendo la disamina, c'è una strada lastricata di serial killer che ad oggi, a mio parere, non è stata ancora battuta a dovere. Sto parlando di un plot in cui l'omicidio seriale è calato nelle atmosfere di un romanzo storico. Proprio in quest'ottica si colloca la vicenda del Cacciatore, un serial killer che opera nella Mantova del XVI secolo. Le sue vittime, ritrovate senza testa, sono sia nobili che popolane, ma per saperne di più dovrete aspettare l'uscita del mio nuovo romanzo Cospirazione Gonzaga.
In questo calderone di storie, abbiamo quindi visto che per avere successo, la vicenda non deve per forza essere ambientata ai giorni nostri ma neanche nel passato più o meno lontano; l'assassino non deve per forza essere cattivo; le vittime non devono per forza essere indifese (si pensi ad esempio a C.S.I.: Las Vegas, in cui le vittime erano gli investigatori stessi). E allora? Nella prospettiva letteraria in cui abbiamo concentrato il nostro esame, forse c'è qualcosa di più. Forse non è «l'ingrediente» serial killer, a fare la differenza.
Forse queste storie di assassini sono stabilmente nelle classifiche di vendita, perché ci fanno semplicemente evadere dalla quotidianità fatta di casa e lavoro. E cosa c'è di più lontano dalla quotidianità se non un serial killer nascosto tra le pagine di un romanzo?
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