"Il nostro Rossini si ispira a Kubrick"

La Fura dels Baus porta in scena "Le siège de Corinthe" alla sua maniera

"Il nostro Rossini si ispira a Kubrick"

Gioachino Rossini diventa Stanley Kubrick. Ovvero: Le siège de Corinthe come fosse 2001 Odissea nello spazio. Ecco l'accostamento che stupirà il Rossini Opera Festival, nello spettacolo che stasera a Pesaro inaugurerà la rassegna lirica. Spericolato? Forse. Ma l'accostamento è firmato da Carlus Padrissa, spericolatissimo fondatore de La Fura dels Baus: team creativo catalano che debutta a Pesaro con l'audace rilettura di questa rarità rossiniana.
Che c'entra Rossini con Kubrick?
«Ricorda la famosa sequenza dell'ominide che, in 2001 Odissea nello spazio, brandisce l'osso di un femore, dando inizio alla prima guerra dell'umanità? Le siège de Corinthe racconta una guerra fra turchi e greci del quindicesimo secolo. Ma tutte le guerre si somigliano, perché tutte scoppiano per gli stessi motivi: potere, denaro, religione. La nostra le rappresenterà tutte: ed esploderà come in Kubrick. Con l'ominide che brandì per la prima volta l'osso di un femore».
Perché ha pensato proprio all'acqua, come causa scatenante del conflitto?
«Perché quello della siccità è un tema attuale. Ma anche senza tempo. La vita è nata dall'acqua; l'acqua è vita. Mesi fa attraversavo San Juan de los Angeles, in Messico. Zolle gialle, spaccate e secche; l'acqua laggiù è oro. Con Lita Cabellut, celebre videoartista spagnola, abbiamo pensato: in un luogo simile una guerra per l'acqua sarebbe logica; un luogo simile sarebbe logico per questo Rossini. Così l'abbiano ricostruito in scena. Una distesa disseccata dalla siccità, tutta spaccature e crepe, sulla quale si erge un muro costituito da 2017 bottiglioni d'acqua, oggetto di contesa fra i due popoli in lotta».
In quale altro modo illustrerete l'atemporalità della vicenda?
«Con alcuni video astratti, i cui i pigmenti luminosi diventano liquido; e con i costumi, che saranno brandelli macchiati di sangue, come i lembi di pelle dei sopravvissuti di Hiroshima».
Eppure si dice che farete anche qualche preciso riferimento ad una guerra molto più attuale?
«È così. Abbiamo immaginato che la protagonista Pamyra sia una ragazza mediorientale che, tornata dall'Europa, trovi la sua terra assediata da milizie spietate, molto simili a quelle dell'Isis».
Fin qui la scena. Ma la musica di Rossini - che questa edizione presenterà con venti minuti totalmente inediti - che significa per un gruppo che solitamente produce musica elettronica?
«Rossini lo incontriamo qui per la prima volta, ma il suo ritmo ce lo rende fratello. Con i suoi tempi trascinanti, reiterati, ipnotici, ti strega. La sua musica è come un mantra. Ti prende, e non te ne liberi più».
Chi è fra voi che fa la regia?
«Tutti, ma uno alla volta. E invitando ogni volta un artista esterno, che qui è Lita Cabellut. Con gli anni è cambiata anche la nostra visione creativa. Nel 1992, per l'apertura delle Olimpiadi di Barcellona, stupimmo il mondo con grandi macchinari ed effetti speciali.

Poi abbiamo capito che oggi il nuovo si trova tornando alla semplicità, all'essenzialità. Che poi è il modo antico di fare teatro. "Torniamo all'antico, e sarà un progresso". Chi è che lo diceva? ? Ah, già. Giuseppe Verdi».

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