La notte brava (e sensuale) della femminista Coppola

La regista americana: «Il mio film non è un remake di quello con Clint Eastwood». E infatti è un'opera elegante e originale

Stenio Solinas

da Cannes

«Non è un remake di The Beguiled, di Don Siegel, e del resto non l'ho visto» mette le mani avanti Sofia Coppola. «Sono partita anch'io dal romanzo di Thomas Cullinan che ne era alla base, e di cui mi avevano parlato, e lì ho trovato una serie di elementi che mi interessavano: il sud profondo dell'America della guerra civile; un pensionato femminile, due insegnanti, cinque allieve, rimasto come isolato all'interno di quel conflitto; bambine, adolescenti e donne che sperimentano l'assenza dell'autorità e della presenza maschile; l'improvviso irrompere nella loro esistenza quotidiana di un soldato ferito, per di più nordista, un nemico e però qualcuno da curare, in linea con gli insegnamenti religiosi impartiti e ricevuti e il ruolo domestico del loro sesso... Non so se ho fatto un film femminista, lascio il giudizio allo spettatore. Lo si potrebbe anche leggere al contrario, perché poi la vittima è il maschio di turno. Di certo, mi interessava raccontare la lotta per il potere, con tutto ciò che essa comporta».

The Beguiled di Don Siegel uscì negli anni '70. Fu un flop al botteghino, ma per la critica resta une delle sue opere migliori. C'era un Clint Eastwood straordinario, molto sangue, molto cinismo e ipocrisia e l'ambiguità del titolo rispecchiava quella del suo personaggio, l'illusione del maschio dominante destinato a divenire la preda delle sue supposte vittime. In Italia il film uscì con lo sciagurato titolo La notte brava del soldato Jonathan.

Il film The Beguiled di Sofia Coppola presenta un cast di tutto rispetto: Colin Farrell nel ruolo che fu di Eastwood; Nicole Kidman, l'istitutrice che guida con mano ferma il collegio, al posto di Geraldine Page; in ruoli minori, ma non secondari, Kirsten Dunst e Elle Fanning, e insomma c'è di che chiamare a raccolta fan di tutte le età. Lì dove Siegel vedeva la storia come la castrazione della virilità nel momento del suo apparente trionfo, la Coppola sceglie invece di farsi guidare da un'analisi delle strategie di conquista proprie al suo sesso. Il risultato è sicuramente un film diverso, e lasciando stare la stucchevolezza su quale fra le due opere sia la più riuscita, converrà dire che questa seconda versione ha il suo perché, una certa grazia ironica nel cogliere il disvelarsi delle psicologie, l'atmosfera elettrica di una natura calda e soffocante, il risvegliarsi dei sensi, la voglia e la paura della trasgressione.

Rispetto a tutti questi temi, la regista è nel suo elemento e i caratteri femminili da lei disegnati fanno la felicità del film. Le allieve più piccole vedono il soldato ferito come un possibile compagno di giochi, l'animaletto domestico che vorrebbero tenere sempre per sé. La loro insegnante pensa possa essere il tramite per una nuova vita, finalmente lontano, finalmente altrove, la via di fuga da quelle quattro mura divenute una prigione. La preside, infine, di quel gineceo, di cui è insieme responsabile e educatrice, assapora il ritorno a quella normalità spazzata via dalla guerra, quando ci si vestiva con eleganza per la sera, si gustava il piacere della conversazione fra adulti, si flirtava facendo finta di nulla.

E l'uomo? Che ruolo ha questo caporale nordista ferito e smarrito, soccorso, curato e protetto e poi, per un eccesso di sicurezza costretto a subire la propria disfatta? «So cosa voglia vivere circondato dall'elemento femminile», spiega Colin Farrell. «L'ho vissuto nella mia infanzia, due sorelle maggiori, mia madre, le zie... Il mio soldato Mac Burney è molto distante da quello cui diede vita Clint Eastwood. Qui c'è un immigrato irlandese arruolatosi per soldi al posto di un altro. È un giovane agricoltore, si muove all'inizio con la soggezione di chi si trova di fronte a un mondo che non conosce, è allo stesso tempo stupefatto e inorgoglito per quello che gli sta capitando. Non è un cinico, non fa calcoli per il futuro. Si perde senza neppure sapere il perché».

Al suo quarto film nello stesso festival, Nicole Kidman conferma il suo attuale stato di grazia.

Ci tiene a dichiarare che ormai ha cinquant'anni e sceglie soltanto quello che le piace. Non sempre le scelte sono giuste - L'uccisione del cervo sacro, per esempio - ma in ciascuna di esse la sua presenza vale il film.

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