«Ora faccio Tosca nella tana del lupo»

«Vado nella tana del lupo perché amo la provocazione», dice sogghignando Lucio Dalla che da giovedì a domenica porterà la sua Tosca a Torre del Lago, in casa di «messer Puccini». Un’opera musicalmente autonoma rispetto a quella del maestro, che Dalla ha riscritto con amore portandola in giro per il mondo con grande successo, conquistando il pubblico di mezzo mondo (dalla Russia al prestigioso festival di Klagenfurt), e preparandosi a due nuove sfide all’Arena di Verona (12 settembre) e agli Arcimboldi di Milano in autunno. «Sarà una Tosca esplosiva - dice il cantautore - perché ogni volta cambio le musiche con qualche variazione melodica, e poi ogni volta i cantanti migliorano come il vino nelle botti, l’orchestra è fantastica, i costumi di Armani, i balletti di Daniel Ezralow».
Non teme il confronto in casa di Puccini?
«Anche il debutto di Puccini fu fischiatissimo. L’esperienza mi insegna che il pubblico sa apprezzare le novità. Questo spettacolo ha venduto 400mila biglietti. Io ci metto l’anima; Tosca, e il melodramma in genere, nascono come la musica pop dell’epoca, e io mi impegno a renderla attuale. Sono un predestinato; a 7 anni fui invitato sul palco da Gianni Schicchi a cantare Puccini col mio “vocione” infantile ma da tenore. Da allora non ho mai smesso di celebrarlo».
E i puristi cosa dicono?
«Odio chi viaggia con i paraocchi senza vedere il passare del tempo, chi si ammanta di un rigore fasullo e non richiesto, chi vorrebbe cristallizzare le cose, chi si scandalizza perché io o Franco Battiato affrontiamo temi classici. La musica, oggi come allora, nasce dalla contaminazione».
Ovvero?
«Ovvero da elementi colti e leggeri. Nel genio di Puccini c’è tutto: è assolutamente sinfonico ma anche pop; lui ha messo insieme tutti gli stili senza barriere, siamo circondati dal “puccinismo” I grandi artisti sono così, capaci di spaziare in ogni campo. Bach ad esempio suonava anche in quelli che possiamo definire i pianobar dell’epoca e Mozart si esibiva nelle osterie. Questo non ha cambiato la loro grandezza, anzi».
Lei è provocatorio anche in questo.
«No, anzi. Amo la musica classica. Ho curato la regia dell’Arlecchino di Busoni, ho riletto a modo mio Stravinskij perché penso che ripetere pedissequamente il passato sia inutile. Amo le novità, mi piace Accardo che va in Venezuela e fonda un’orchestra di giovani, o Muti che forma una compagine di ragazzi, poco più che bambini, che sono dei prodigi. Questa è continuità con la tradizione. Scendere dalla torre d’avorio e andare in mezzo alla gente. Sa cosa mi ha emozionato? Un giorno sono andato a Londra allo stadio, a vedere una partita del Celtic, e al fischio d’inizio decine di migliaia di tifosi intonarono la melodia del Vincerò della Turandot. Questa è cultura».
E Lucio Dalla fa cultura?
«Il mio concetto di cultura è particolare. Se mi facessero un monumento sarei felice se i cani ci facessero sopra la pipì; nel senso che la grandezza di un personaggio si vede dalla dispersione della sua opera in mille piccoli rivoli molto diversi tra loro».
Quindi ha abbandonato il pop?
«Forse il pop ma non la canzone d’autore. Il mio nuovo album uscirà ad ottobre e sarà pieno di ritmo e di novità. Una bella canzone richiede tanto impegno intellettuale ed emotivo. Ultimamente ho scritto molto cercando di rimanere sui miei livelli abituali. Il nuovo cd sarà un passo in avanti per dimostrare che la musica è libera, non si può costruirci il filo spinato intorno e definirla rock, pop, jazz».
Ma dove trova l’energia per tutte queste attività?
«Viaggio come un postino in giro per l’Italia, ora insegno anche sociologia all’Università di Urbino, soprattutto la teoria della reciprocità di Georg Simmel. Sono un curioso e un entusiasta, e mi aiuta molto la fede».
Lei è molto cattolico.
«Sì, e so che la religione conta molto meno della fede. A volte ragione e fede vanno di pari passo più che religione e fede. La fede bisogna costruirsela da soli oppure trovare i preti giusti, quelli veramente illuminati. A Bologna c’è un prete eccezionale che dice Messa alle 10 di sera nella Chiesa di San Domenico, e per ascoltarlo c’è sempre una folla da stadio.

Comunque io credo e questo mi aiuta ad andare avanti: credo che la peggior condanna per un uomo sia quella di essere ateo, e ritengo che la morte sia solo la fine del primo tempo».
E come artista come si definisce?
«Anche qui un miracolato da Dio. Quel poco che so fare mi viene dal cielo: non conosco una nota eppure modifico le partiture di Stravinskij. Non è un miracolo?».

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