L'inaugurazione della stagione sinfonica dell'Accademia di Santa Cecilia di Roma ha ricordato uno dei massimi compositori del secolo Ventesimo, Benjamin Britten, di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita. Nonostante la concomitanza col bicentenario dei giganti Verdi e Wagner - un sandwich mortale per molti altri colleghi - le feste in tutto il mondo a Britten confermano la statura (in costante ascesa) del musicista inglese. Antonio Pappano, cresciuto nella cultura musicale britannica, non poteva dimenticare l'artista che più di ogni altro ha contribuito a smentire il luogo comune che il Regno Unito sia terra musicalmente sterile, esclusi i soliti nomi: Henry Purcell e Edward Elgar. Proprio il successo del Peter Grimes (1945), che Pappano ha eseguito in forma di concerto, segnò la rinascita musicale di un popolo prostrato dalla guerra. Con il Grimes la vocazione teatrale di Britten è pienamente matura. All'Auditorium romano l'unico elemento latitante era l'apporto scenico.
Grimes, il solitario con tendenze sadiche e la farisaica umanità che brulica nel Borgo, si muovono in un tessuto dove messa in scena e musica sono tutt'uno. L'esecuzione musicale di Antonio Pappano - una delle sue prove interpretative più alte - ha fatto dimenticare la lacuna. Egli ottiene dall'Orchestra sonorità preziose e distillate, taglienti e drammatiche, mai semplicemente agre, puntute o grottesche. Ha il respiro misurato sulla parola. Segue la comunità marinara nella vitale quotidianità. Discorso a parte per il Coro, istruito da Ciro Visco. Non è comune sentire una compagine italiana così ben preparata in una lingua non madre, e così intonata, anche nei difficilissimi richiami (Grimes) del finale, pronunciati «pianissimo» come provenissero da dietro la sala.
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