«È passato tanto tempo» ma Dubus III sa ancora mostrare le cicatrici della vita

Il drammatico confronto fra un padre (che ha ucciso la moglie) e una figlia

Stefania Vitulli

Il punto di vista è sia quello di lui che quello di lei. Lui è il padre, si chiama Daniel, fa l'impagliatore, è sulla sessantina e poco più che ventenne ha ucciso sua moglie. Ha fatto quindici anni di carcere, dopo, ma non è questa la ferita più grave. La ferita più grave è lei. Lei è sua figlia, Susan, e lui non la vede da quando aveva tre anni, la notte dell'omicidio, quando gliel'hanno portata via. Lui sta per morire. Lei sta per ricominciare a vivere. Ma il passato ritorna, sempre. È questo il plot che sostiene È passato tanto tempo (Feltrinelli, pagg. 444, euro 19,50, trad. di Giovanni Greco; presentazioni a Milano, oggi ore 17, Libreria Feltrinelli Duomo, con Giulia Calligaro e Roma, LibriCome, domani ore 18, con Luca Briasco), il nuovo romanzo, sfornato a ben dieci anni dal precedente, di Andre Dubus III, pluripremiato scrittore californiano classe 1959, autore, tra l'altro, del thriller psicologico La casa di sabbia e nebbia (Beat), bestseller mondiale con oltre due milioni e mezzo di copie vendute e un film omonimo candidato a tre Oscar. «Il passato ritorna, sì, anzi, una delle mie citazioni preferite è di Faulkner e dice Il passato non è neanche passato», ci spiega Dubus III. «Amo moltissimo la parola remember, ricordare, perché il suo contrario non è dimenticare, ma dismember, cioè disintegrare. Quindi remember significa rimettere insieme i pezzi. Una delle cose che questo romanzo mi ha costretto a fare è mettere in dubbio se alcune azioni siano imperdonabili: non credo sia possibile perdonare Daniel, ma è possibile odiare il peccato e non il peccatore».

Anche se da La casa di sabbia e nebbia sono trascorsi vent'anni giusti, È passato tanto tempo ha almeno una cosa in comune con quella storia: personaggi che sembrano non potersi liberare mai, non poter mai vivere e basta. Qualcosa grava su Susan al punto che non riesce a dare la svolta che vorrebbe al suo presente, qualcosa grava su Daniel anche se ha pagato il suo debito con la giustizia. Qui è un conto aperto con il passato e la violenza subìta che diventa una dipendenza, mentre nella storia portata sullo schermo con Jennifer Connelly e Ben Kingsley c'erano droga, alcol, guerra civile, cultura d'origine. Nessuno è mai libero, dunque? «La cultura che io conosco meglio è quella americana», racconta l'autore. «E credo che sia una cultura piena di dipendenze di ogni tipo. In queste comprendo droga e antidepressivi, ma anche yoga, alcol, sesso, cibo e consumo a poco prezzo di oggetti materiali. Cerco di non fare commenti sociali nel momento in cui sto scrivendo opere di fiction, ma mi piacerebbe moltissimo scrivere dal punto di vista di qualcuno che non fosse così: dipendente. Forse nel prossimo libro».

Dubus III ha scritto per diciotto anni di fila prima che La casa di sabbia e nebbia diventasse un successo mondiale e lo rendesse famoso al punto che anche a È passato tanto tempo si è già interessata Hollywood. Ma non è la fama che gli ha fatto capire di essere uno scrittore: «Mia moglie è coreografa e ballerina e una volta mi ha chiesto che cosa vorrei dalla mia arte. Né la fama né i soldi, le ho risposto. Semplicemente che non sia ignorata. Se quel libro non fosse diventato un bestseller, sarei andato avanti a scrivere per il resto della mia vita, ma non così felicemente.

Lo scrittore James Harrison ha detto Non credo che nessuno legga le mie poesie, ma le scrivo lo stesso, perché sono fiori per il vuoto. Il successo è incoraggiante: serve a farti capire che non scrivi per il vuoto. Ma anche senza, scrivi comunque».

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