Pizzi Cannella, lussuoso pittore lanzichenecco alla corte dello zar Putin

Nel suo atelier romano crea ispirandosi al mito della Madre Russia. E ora espone all'Ermitage

Pizzi Cannella, lussuoso pittore lanzichenecco alla corte dello zar Putin

Sono a San Lorenzo, ex Pastificio Cerere. In realtà mi sembra di stare nel braccio della morte di Folsom dove risiedette il mio amico Edward Bunker, quello di Come una bestia feroce. Ricordo che quel libro lo recensii su queste pagine e, tornato a Los Angeles, il vecchio grande studioso di rapine americane, passato alla sceneggiatura e scrittura in carcere, prese la pagina del Giornale e la inchiodò sul muro della cameretta. Poi filmai una sua intervista inedita, mai venduta per pigrizia che si intitola: «Asilo Infantile».

Sì, scrivo bene. E adesso che sono ficcato dentro queste scatole che fanno su e giù grazie a un montacarichi, in luogo di pena e concentrazionario, mi torna appunto utile Bunker e l'asilo infantile. Tra l'altro osservando la faccia e la stazza del pittore Piero Pizzi Cannella sono combattuto se rassomigliarlo a Re Lear o a uno di quei condottieri feroci che imperversarono in Italia tra il Quattrocento e il Seicento. Ma poi se Pizzi lo metto a fuoco e ne contengo la figura, ecco che emerge la testa e il volto di un bambino dell'asilo. Anche se fanciullo discolo come Lucignolo o Franti. Cose curiose, accadimenti nell'enorme sala dello studio romano del pittore nato sui Colli Albani, precisamente a Rocca di Papa, dove si è circondati da olii neri dai quali emergono vesti e vestarelle di merletto sguarcite e fisse; senza corpo. O lucertole che giocano a rincorrersi in cerchio. O collane di coralli tarlati, amuleti, ori sfatti e brillanti e lampadari di cristallo che si posizionano al posto dei pianeti e dei satelliti. Dunque è presto detta: anche i condannati a morte sono stati e continuano a essere bambini. Anche Pizzi non sfugge alla superiorità antropologica rispetto alla cultura. Egli, dunque, è pure feroce soldato o condottiero francese, spagnolo, ma di sicuro lanzichenecco che prima partecipò al Ratto di Roma e poi in ritirata verso sud, dopo la battaglia della Molara, si trapiantò sui Campi di Annibale (esiste ancora la spianata del Castello brandeburghese da dove si rimira il lago Albano di pece, stracolmo di misteri votivi e pagani, nonché residenza del Papa di Roma) in quel che è rimasto il quartiere più popolare e cazzuto di Rocca di Papa.

Pizzi, padrone di San Lorenzo, dominatore di champagne e comitive capeggiate da Abbacchietto, gravitanti da Pommidoro: il ristorante che mostra l'assegno di undicimilalire staccato da Pasolini che ci mangiò la sera prima di morire. Pizzi Cannella, in virtù del suo remoto passato di lanzichenecco, non fa che dipingere il lusso sfatto e disadorno dei feroci soldati allo sbando. Il lusso della sua opera non è il contrario della volgarità come diceva Coco Chanel, ma è il bottino della razzia compiuta per lo più al buio. E ancora nei dipinti danzano le vesti della dote delle contadinelle, i coralli delle loro madri e nonne, gli ori e i pezzi di tela strappati nelle chiese. Lusso quindi. E se di lusso si tratta non poteva che entrarci di mezzo la Madre Russia. Sì, scrivo ancora bene: la Grande Russia degli Zar ereditata da Putin.

Gli domando: «Insomma i tuoi quadri sono esposti all'Ermitage di San Pietroburgo?».

«E certo che sì» mi risponde ora che si è sbottonata la camicia e la pancia quasi mi tocca. «Sono arrivato nell'amata Russia dopo quarant'anni di lavoro». Parla tirandosi indietro i capelli folti e riccioluti come se volesse riposizionare sul capo una corona di latta o fregata da una tomba o santuario latino, volsco, albano... «È da quando avevo dodici anni che sogno la Russia».

Pizzi parla lento come se volesse far passare le parole dentro la cruna di un ago. Intanto Vanessa, la sua assistente dama e vestale, mi offre un gelato alla stracciatella.

«So che hai riempito le sale dell'Ermitage di Lampadari».

«È proprio così», mi fa mentre brindiamo al popolo russo. «In realtà i lampadari li avevo in mente da quindici anni, ma quelli lo sai sono immaginari. Invece adesso al Palazzo d'Inverno c'ho portato quelli veri. Li ho dipinti per omaggiare lo Zar!».

«Ma lo Zar o gli Zar in Russia non ci sono più», gli rimando intuendo dove vuole andare a parare. Oppure no. Abbiamo bevuto già due bottiglie di vino. Lo lascio parlare: «Nel Palazzo d'Inverno viveva Nicola e la sua famiglia. Nel '17 i bolscevichi entrarono armati...».

Lo interrompo, mi viene da sproloquiare, ma giuro che sono lucido e a quello che dico ci credo ciecamente. «Ma l'Ermitage è già pieno di lampadari. Che hai combinato? Hai aggiunto lusso al lusso! Che volevi fare? Forse ricordare la doppia (o terza se consideriamo l'odierna Russia di Putin) potenza imperiale della sacra Patria di Pukin e compagnia bella? Quella di Pietro il Grande e dei Soviet?». Vorrei chiudere qui la chiosa al suo lento salmodiare, però non resisto: «Ma non credi che anche oggi con Putin, quella terra cristiana abbia in mano la forca dell'Impero?».

Risposta di colui che fu lanzichenecco: «L'anima russa non può cambiare. La Russia è un'Anima. E a prescindere dal suo Capo non diventerà mai un'altra cosa. La Russia possiede una forza straripante, immensa...».

Sono contento che Piero Pizzi Cannella è così entusiasta. Lo credo anch'io. «Sono onorato a vita che i miei lavori i russi l'abbiano ospitati sulle pareti che appartennero ai quadri di Matisse, ai tanti Gauguin, Picasso. E a tutta l'enorme collezione degli Zar. È stata un'emozione forte quella di prendere momentaneamente il posto di questi immensi artisti. In Russia hanno anche questo coraggio. In Italia è andato a cagare».

Gli dico che al telefono mi raccontava dell'ospitalità che ha trovato... l'amore per l'arte... il rispetto...

«Là ho incontrato una passione che si nota anche nei dettagli del cerimoniale. Di come curano l'artista e il suo lavoro. Cosa impensabile qui. I russi dimostrano un autentico amore».

Pizzi ha raggiunto la Russia in treno con la sua famiglia. La moglie, Rossella Fumasoni, anche lei pittrice alla maniera di quel magic francese, di quell'ipnotico, di quel cinema muto di figure fatte di laudano, presiedute dall'ombra di Breton; e il figlio diciottenne, Arturo: tenebroso come Jim Morrison ma non perduto come il cantante dei Doors. «Sputa il rospo!» scatto, «la presenza di Putin è palpabile, percepibile?».

«È palpabile?», sbotta adesso la Fumasoni che chiamano Fuma, «Putin è nella stessa atmosfera. I negozi vendono i souvenir con l'immagine di Putin. Ci sono i biscotti che hanno Putin stampato sulla glassa!». Non so perché ma siamo eccitati. Riprende Pizzi Cannella: «Pare di stare a Lourdes, nelle librerie della città del Vaticano. Mi pareva di tornare a Little Italy a New York. Là si trovava il vecchio piatto con Mussolini, il Tricolore, il Fascio Littorio. A NYC era un revival nostalgico per il Paese che si era stati costretti ad abbandonare. In Russia è tutto vero, tutto adesso. Putin è linfa quotidiana. Non c'entra niente con la dittatura e il Fascismo...».

Cerco di spiegarmi che spesso si usa questo assioma: Fascismo-Putin; Dittatore fu l'uno, Dittatore è l'altro.

«Ma che cazzo!, so' tutte fregnacce» reagisce Piero. «Putin ha un carisma che taglia. Anzi, si vede camminare la sua aura. Certo ci sono i dissidenti e capisco che noi possiamo percepire in maniera distorta. Ma per loro, per i russi, il Capo indiscusso è Putin. Lo vogliono Capo. Lo pretendono. Non possono farne a meno. L'hanno nel sangue. Mussolini non c'entra un cazzo». Vabbé. Dico: «Va bene, viva la Russia!».

A un certo punto Rossella Fumasoni dice che in Russia non ride nessuno. Allora Pizzi si scuote e gli cade dalla testa la corona di latta o intarsiata di smeraldi e rubini.

«Quelli so' seri! Mica devono fa' ride'! I russi sono fantastici così. Eppoi che hai mai conosciuto un comico russo?».

A me viene in mente solo Majakovskij. Se non si fosse ucciso prima Stalin l'avrebbe trasformato forse non in un comico però in un buffone sì.

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