En attendant (il francese è d'obbligo) di capire se Berlusconi- Sorrentino atto II sarà o meno a Cannes, la settantunesima edizione del Festival si dimostra avara di sorprese e con qualche divieto di troppo. Non ci saranno i film Netflix, perché la legislazione francese prevede una moratoria di 36 mesi prima che dalle sale si passi alla visione casalinga, e quindi per il gigante dell'home-video il gioco non vale la candela. Non ci saranno i selfie sul tappeto rosso, per ragioni «tecnico-filosofiche» (mah), non ci saranno le anteprima per la stampa, per ragioni inconfessabili, ma evidenti: non disturbare il battage pubblicitario Arrivato a fine corsa (il suo mandato è in scadenza), il selezionatore Thierry Frémaux ci tiene a far sapere di aver visionato quasi duemila film, ma la spremitura che ne è uscita non è un grand cru, con un eccesso di uvaggi asiatico-mediorientali che vorrebbe indicare una realtà internazionale d'autore, ma di fatto significa che Europa, Stati Uniti e America latina migrano verso altri lidi Naturalmente, essendo Cannes, qualche motivo d'interesse c'è. Il ritorno in concorso del quasi novantenne Jean-Luc Godard (Le livre d'image) ; il thriller piscologico di Ashga Fahadi, già pluripremiato sulla Croisette e non solo, interpretato da Javier Bardem e Penelope Cruz (Everybody knows); il thriller nero, Il Ku Klux Klan visto dall'altra parte, di Spike Lee (BlaKkKlansman); il thriller contemporaneo di Robert Mitchell (Under the silver Lake), con Andrew Garfield Ancora, l'iraniano Jafar Panahi (Three Faces), già Leone d'Oro con The Circle; il cinese Jia Zhang Ke, già Leone d'Oro con Al di là della montagna (Ash is Purest White), il più lungo in concorso (due ore e mezzo). Questi fra i diciotto film in gara, ed escludendo i due italiani, sembrano essere i più gettonati, anche se un po' sul versante dell'usato sicuro... Nella sezione del Certain Regard, il più eroticamente pruriginoso dovrebbe essere il francese A genoux les gars, di Antoine Desrosières, mentre, fuori concorso, oltre a Solo.
A Star Wars Story, di Ron Howard, c'è attesa per Le Grand Bain, di Gilles Lellouche, grande attore d'oltralpe al suo esordio come regista. Attesa anche per il documentario di Wim Wenders su Papa Francesco (A Man of his Word), ma più per vedere confermata una decadenza che per applaudire una rinascita. Anche se, visto il tema, un miracolo è sempre possibile.
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