Un posto a teatro

Quarant'anni di famiglia italiana medio-borghese e forse anche di vita dell'autore, Fausto Paravidino, uno di quei drammaturghi che amano, più che risultare controversi, lavorare sul teatro e vedere come va. Il senso della vita di Emma è il suo ultimo testo, scritto e diretto per il Teatro Stabile di Bolzano. Progetto ambizioso, che vorrebbe spiegare una generazione con la crisi nel Dna, la generazione X: si parte negli anni '60, all'Università, con l'incontro tra la seriosa Antonietta e Giorgio, fanatico di Pratolini. Poi arrivano il pragmatico Carlo (lo stesso Paravidino) e la «leggera» Clara: sono le coppie che invecchiano sotto i nostri occhi, vedono infrangersi i sogni, da incendiari a pompieri: sono «i genitori». Antonietta e Carlo lo sono del sensibile Marco, della cinica Giulia e di Emma, il mistero. Giorgio e Clara lo sono di Leone (Giuliano Comin), il personaggio forse più interessante. Le storie di tutti s'intrecciano e danno miccia al giallo della scomparsa di Emma, che sembra però un pretesto: per esplorare legami familiari, sì, ma anche ideali perduti, attivismo e terrorismo, ecologia e cultura (la tirata sull'arte contemporanea vale tutto lo spettacolo). S'indovinano autobiografismi, ma la pièce è soprattutto vita che scorre, cose che accadono: Emma è enigma del conflitto, cambiamento ineluttabile, Destino.

Perciò non è così importante che riappaia e infatti la fine è il momento più debole: si indulge nello «spiegone» e gli attori ne soffrono. Ma per il resto si sorride, si ricorda, e tre ore volano.

IL SENSO DELLA VITA DI EMMA Domani all'Herberia di Rubiera (Reggio Emilia). Dal 2 al 7 aprile all'Elfo Puccini di Milano.

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