Primi in classifica, ultimi nella vita I divi si confessano

Primi in classifica, ultimi nella vita I divi si confessano

Nell'immaginario collettivo la rockstar è una specie di divinità che vive tra la vita sulla corsia di sorpasso e l'atterraggio di fortuna nel paradiso degli adolescenti. Ma cosa c'è dietro? Dove finisce il personaggio e spunta «l'uomo semplice, uno che tutti possano amare e capire?» come cantavano i Lynyrd Skynyrd. Lo spiega Walter Gatti nel libro La lunga strada del rock (Lindau) con una serie di interviste e ritratti di tutti gli artisti che ha incontrato parlando di amore, dolore, divino, realtà e finzione. Spesso ci si domanda quanto finga una rockstar sul palco. Brian May dei Queen ha risposto secco: «Tanto. Con tutti. Uno dei problemi del rock è la gente che hai intorno. Per mille motivi conviene a tutti che si rimanga bambini, marionette. Per il business devi rimanere un oggetto facilmente utilizzabile». Lo sottolinea il guru di Woodstock Richie Havens parlando della morte di miti ribelli come Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin. «Non capivano come usare la musica. Sono morti un po' per colpa loro un po' per colpa del business. Il business li ha creati alternativi e poi li ha gettati. Janis era un fuscello che si atteggiava da quercia; Jim era guidato dalla parte oscura delle cose».
E le cose non sono migliorate nei decenni successivi. I Metallica, re del metal, vengono da pericolosissimi «matrimoni» giovanili, se non adolescenziali con alcol e droga: «Non è facile cercare di essere puliti - dice il chitarrista Kirk Hammett - dopo che per anni hai avuto un'esistenza così estrema. Le droghe pesanti sono parte dell'universo rock dai tempi degli Stones. Di certo ogni tanto si raggiunge un livello di autodistruzione tale che occorre fermarsi un istante prima. Ma le cose cambiano. Un tempo l'Lsd aveva una motivazione quasi spirituale, ma abbiamo avuto troppi morti e troppi matti per crederci ancora: se hai i tuoi demoni in qualche modo devi affrontarli». È la maledizione che accompagna trasversalmente le rockstar arrivando fino a Amy Winehouse e toccando anche i nostri cantautori come Vasco Rossi che una ventina d'anni fa diceva:«La mia produzione migliore è terminata con Va bene così. Quello che è arrivato dopo era frutto di una grande crisi, dei guai con la coca. Ho avuto uno sbandamento totale...si sentiva la mia confusione mentale». E Roger Waters dei Pink Floyd costruì il capolavoro The Wall dopo una crisi personale che lo spinse persino a sputare sul pubblico durante un concerto. Per quanto il rock derivi dalla musica del diavolo (il blues), molti sono i rocker che cercano la redenzione o vanno in cerca di una nuova spiritualità. Lo ha fatto Eric Clapton, nei momenti più bui, in cui era divorato dalla droga. «Le prime preghiere me le ha insegnate mia nonna Rose. La mia carriera è stata un insieme di esperienze fantastiche e di incubi infernali. Così, per superare certi momenti freddi e bui, mi sono rivolto a chi sostiene i dolori dall'alba dell'uomo». Assoluto re della chitarra, ma anche dell'esperienza religiosa, è B.B.King quando racconta: «Ho radici religiose profonde: campi, casa e chiesa erano la mia vita. Lì si leggeva la Bibbia, si ascoltava il sermone, si cantava il gospel. Mi sento portavoce di un mondo diverso in cui si pregava e si ballava, c'erano i vecchi da cui imparare la vita e che ti davano i segreti con cui superare i dolori. I nostri concerti sono piccole celebrazioni di musica e di umanità, e sono certo che dall'alto anche il Padre onnipotente ascolta e si diverte».
Tolto il costume da star dunque rimane l'uomo, il re nudo con le sue contraddizioni a raccontare tutti i suoi dubbi «tra palco e realtà» (direbbe il Liga») o a cantare di «quella lunga oscurità che ci circonda prima dell'alba» (direbbe un eroe della West Coast come David Crosby). E allora, chiude il cerchio Brian May, si parla di nuovo della morte, non la morte cosiddetta epica o trasgressiva, quella che «ci attende tutti. Ne siamo coscienti solo quando ci tocca da vicino, vicinissimo. E dopo diventi adulto di colpo. Ti accorgi di colpo che non giochi più».

Quel gioco cui pensavano di partecipare per un breve periodo della loro vita i Pink Floyd quando raccontarono: «Eravamo convinti che il rock fosse ok per un paio d'anni e che poi avremmo dovuto cercarci un lavoro, visto che eravamo tutti iscritti a architettura».

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