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Proselitismo via web e orrore da esportazione: così è nato l'Isis

In "Bandiere nere" Joby Warrick racconta la genesi dello Stato islamico e la sua espansione

Proselitismo via web e orrore da esportazione: così è nato l'Isis

Il magro ragazzo belga con il sorriso tutto denti era un smplice scolaretto quando Abu Musab al-Zarqawi incominciò i suoi attacchi alle ambasciate e alle moschee irachene nel 2003. Ma se i due si fossero incontrati da adulti, si sarebbero stupiti per quanto si assomigliavano, il famoso terrorista e l'accolito destinato a mettere in ginocchio una delle grandi città europee.

Sia Zarqawi sia il giovane belga, Abdelhamid Abaaoud, venivano da solide famiglie borghesi, solo moderatamente religiose. Entrambi avevano frequentato buone scuole, ma erano stati espulsi durante l'adolescenza ed erano sprofondati nella delinquenza e nella piccola criminalità. Entrambi avevano subito una metamorfosi mentre si trovavano in prigione, ed entrambi erano andati all'estero per cercare di redimersi e per trovare uno scopo sui campi di battaglia stranieri. Zarqawi aveva ventitré anni quando si era unito ai mujaheddin in Afghanistan. Abaaoud ne aveva pochi di più, ventisei, quand'era arrivato in Siria per unirsi alla vecchia organizzazione dei successori di Zarqawi, ora nota come Stato islamico.

Entrambi aspiravano a portare gli orrori della guerra nel proprio Paese natale. Abaaoud ci sarebbe riuscito in modo spettacolare, come leader degli attacchi terroristici del 13 novembre 2015 a Parigi, il primo massacro dell'ISIS in una capitale occidentale. Il belga e i suoi otto complici fecero esplodere delle bombe e spararono raffiche di pallottole in vari punti dei quartieri settentrionali e orientali della città: quattro ore di furia omicida che provocarono centotrenta morti e quasi quattrocento feriti.

Gli agenti dell'antiterrorismo si erano a lungo aggrappati alla speranza che un evento del genere non si verificasse mai, che l'ISIS restasse concentrato sulla missione puramente locale di costruire e difendere il califfato. Ma qui c'era la prova di una pericolosa terza fase di espansione violenta del gruppo: dopo aver stabilito un santuario in Siria e completato la conquista dell'Iraq occidentale, i terroristi affrontavano nuovi campi di battaglia, lontani dal Medio Oriente. I soldati semplici della nuova campagna non erano mediorientali o africani, ma giovani europei e nordamericani, con passaporti occidentali, che parlavano fluentemente francese, fiammingo, tedesco e inglese. Avevano incominciato ad arrivare in Siria nel 2012 e alcuni, come Abaaoud, avevano trascorso anni nei campi di addestramento dell'ISIS, imparando a pensare, a pregare e a combattere come guerrieri islamisti.

Adesso, tre anni più tardi, la nuova generazione dell'ISIS era pronta. E le truppe d'assalto una feroce prima ondata, destinata a essere seguita da altre erano guidate da un giovane di periferia dal sorriso malizioso, la cui impresa più notevole fino a quel momento era stata l'irruzione nel garage di un vicino.

L'intenso corteggiamento fra l'ISIS e Abaaoud era tutt'altro che un evento casuale. Certo, sulla carta, il ragazzo aveva poco da offrire: era l'ennesimo delinquentello senza esperienza militare e senza capacità particolari. All'epoca del suo arrivo in Siria, il gruppo terrorista era già carico di successi, sia sul campo di battaglia, sia nella più vasta lotta per accaparrarsi combattenti e risorse. Centinaia di volontari giungevano ogni mese dalla Penisola arabica, dal Caucaso e dal Nord Africa. Tuttavia, all'inizio del 2012, i leader del gruppo puntavano a battaglie più grandi e a risultati più importanti. Il giornalista americano Peter Theo Curtis, che era stato preso in ostaggio dal Fronte al-Nusra quando questa organizzazione terroristica era ancora ufficialmente un ramo dello Stato islamico, ricordava che i suoi carcerieri parlavano di un progetto per collocare in Europa e in Nord America cellule dormienti che si potevano attivare per condurre attacchi in un lontano futuro. I seguaci di Zarqawi volevano quadri di occidentali proprio come Abaaoud e si diedero da fare per reclutarli.

I leader jihadisti «invitavano gli occidentali alla jihad in Siria,» scrisse Curtis, «non tanto perché avessero bisogno di altri soldati non ne avevano affatto bisogno ma perché vogliono insegnare agli occidentali a portare la lotta in ogni quartiere e in ogni stazione della metropolitana dei loro Paesi». Abaaoud doveva essere un primo esperimento della strategia dell'ISIS. Ma prima di poterlo usare, bisognava scoprirlo, esaminarlo e persuaderlo. Tutti i dati convergono nel suggerire che Abaaoud sia stato un convertito eccezionalmente entusiasta.

Primo dei sei figli di un immigrato marocchino, Abaaoud crebbe del quartiere operaio di Molenbeek a Bruxelles, dove la maggior parte dei suoi vicini e dei suoi compagni di scuola avevano origini arabe o turche. A diciannove finì in carcere per la prima volta, per aver nascosto merci rubate. A venticinque, l'elenco comprendeva aggressione, rapina e resistenza all'arresto. Una volta, mentre fuggiva dalla polizia, era saltato in un fiume ghiacciato e avevano dovuto curarlo per ipotermia. Trascorse qualche tempo in prigione, uscì, fu arrestato di nuovo. L'ultimo periodo di Abaaoud dietro le sbarre lo mise in contatto con il piccolo circolo di islamisti del carcere.

Come Zarqawi e i suoi discepoli anni prima, erano delinquenti di strada che adottavano un rigido codice religioso per ottenere l'ammissione in una banda ancora più dura: quella dei jihadisti.

Come i loro simili in Germania, Inghilterra e Francia, appartenevano a una generazione di giovani musulmani delusi che erano diventati radicali prima di essere religiosi, secondo l'agente dell'antiterrorismo belga Alain Grignard, studioso del fenomeno.

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