Alcuni anni fa trasmettevano in tv Il Giornalino di Gian Burrasca. Davanti al video c'era il figlio di Rita Pavone (sei anni): «Lo sai confida il bambino ad un amichetto - che da giovane la mia mamma era un uomo?». Ebbene: in cinquantasei anni di multiforme e leggendaria carriera, Rita Pavone è stata anche questo. Oltre che cantante, attrice, ballerina, showgirl; un talento unico, esplosivo, inarrestabile. «Mi mancava solo il ballo di coppia», riflette oggi. E a colmare la lacuna ci ha pensato Milly Carlucci, con Ballando con le stelle, che da domani riporta la vulcanica settantenne «pel di carota» al sabato sera di Raiuno.
A casa come hanno appreso la notizia?
«Dal tg. Non l'avevo detto né a Teddy (Reno, ndr), né ai miei figli. I primi hanno sospirato: Basta che non ti fai male, mamma. E il padre, più giovanile di loro: Brava! Settant'anni sono solo un numero».
Ma cosa spinge una come lei, che non deve dimostrare più niente a nessuno, a provarsi in un talent show?
«In tv ho ballato per anni, da Stasera Rita a Studio Uno, con Don Lurio. Ma mai in un valzer o in un tango. E siccome nella vita mi sono sempre messa in gioco... Mi piace il sudore; mi piace il cameratismo che si crea (speriamo duri fino alla fine). E speriamo anche mi regga un ginocchio, che invece fa le bizze».
Facciamo un passo indietro. Nel 2006, causa gravi problemi di salute, lei annunciò il suo ritiro. E poi?
«E poi ci ha pensato Renato Zero. Nel 2010 m'invitò al suo concerto a Piazza di Siena in Roma; Ma non dire niente a nessuno: vengo solo per te. Lui e la Bertè erano stati miei collettoni: i boys nei miei show. Credevo che la voglia di cantare mi fosse passata. Beh: appena in scena si sollevò un boato come non ne avevo mai sentito. Quando cantai Cuore piangevano tutti; quando attaccai Mi vendo fu la follia totale. Mi ha travolto un'autentica, inattesa onda d'amore. E il giorno dopo Renatino mi chiama: Ah ni' c'è tutta Roma che parla de te!».
Allora sono tornati i concerti, tutti sold out, e un nuovo lp, osannato dalla critica, a 19 anni dall'ultimo...
«Certo. La voce era ancora ben salda, non belava come può succedere alla mia età. Ed era rinata la voglia di cantare le mie canzoni: quelle swing e soul che corrispondono alle mie due diverse nature, e mai avevo potuto incidere. Cover classiche come Once upon a time o All Nite Long, alle cui traduzioni hanno provveduto Migliacci, Ruggeri e l'amica di sempre (regista del Giamburrasca) Lina Wertmuller».
Ma un sogno è stata tutta la sua carriera. Da La partita di pallone alla Carnegie Hall di New York.
«E' vero. E se ci penso quasi mi gira la testa. In America ho cantato coi Beach Boys e le Supremes; ho incrociato Ella Fitzgerald e Duke Ellington; sono stata cinque volte ospite all'Ed Sullivan Show...»
Poi arrivò il 68, e i cantautori fecero sparire una generazione d'interpreti, idolatrati fino a poco prima.
«Quelli che ci rimisero più di tutti fummo io e Morandi. Figurarsi: noi cantavamo ancora l'amore e in giro si sentivano solo ballate di protesta e rivolta sociale... Lui si ricostruì faticosamente tornando a studiare musica. Io ebbi la fortuna di sfondare in Francia: vendetti 650.000 copie di Bonjour la France e cantai per un mese all'Olympia. Ma fu dura».
Le è piaciuto il modo in cui Arisa ha re-interpretato il suo Cuore a Sanremo?
«Assieme ad Orietta Berti, Arisa è la cantate più intonata che esista in Italia. E ha avuto l'intelligenza d'interpretare quella che è la mia signature song a modo suo, senza copiarmi. Mi è piaciuta moltissimo».
Se invece che a Torino fosse nata a Los Angeles, dove l'età degli artisti è un titolo di merito e non uno svantaggio, la sua storia sarebbe stata diversa?
«Forse. In America mi dicevano. Sembri una di noi, perché sono perfezionista, propositiva, instancabile. Un fatto di cromosomi. Quel tipo di professionismo lì, in Italia, l'ho trovato solo negli show di Falqui».
E oggi? Ha rimpianti, nostalgie,
desideri?«Sono serena. Vorrei che i miei figli prendessero il mio ultimo disco come la mia eredità. Se qualcuno un giorno chiedesse loro Chi era Rita Pavone?, vorrei glielo facessero ascoltare. Ecco: questa era Rita».
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