Il bello è che dei saloni del libro, di cui si dibatte sui quotidiani, non frega assolutamente niente a nessuno. È stato un dibattito tra galline gaddiane, quer pasticciaccio brutto der Lingotto. Con idee del tipo: a Torino mettiamo la parte colta e a Milano quella commerciale, magari a Torino i librai e a Milano gli editori, con treni che colleghino le due città, che se arrivano puntuale è una perfetta idea fascista ma al contrario, meglio essere deportati al confino. Tanto possono anche mettere un saloncino in ogni città italiana, farne un grande strapaese del libro, e non cambia niente in una nazione che se la tira tanto con la cultura e legge meno libri e meno quotidiani in tutto l'Occidente. E poi, quali libri legge? I libri che gli editori decidono di far leggere, andare in classifica, magari con l'aiuto di un Premio Campiello o di uno Strega.
Insomma, volete sapere la verità? Quale cultura e quale parte commerciale? Il Salone del libro ha sempre fatto schifo, mai visto un Salone del libro di Torino interessante, dove ci fosse cultura, sempre un clima asfissiante, editori più ignoranti delle capre di Sgarbi che ti rifilano quello che hanno di più commerciale perché è sempre stato un supermercato del nulla rilegato, una fiera delle vanità con tante velleità e nessuna qualità. Sempre mandrie di povera gente allucinata tra gli stand e le sale rossa, blu e gialla occupate dai big presenzialisti, tanto meno culturalmente big quanto più presenzialisti, e il buonismo che straripa da ogni incontro uno più soporifero dell'altro, con quegli slogan del cavolo tipo «Dove osano le idee» (dove? Di certo non lì) o «Italia, Salone delle meraviglie», ma quali meraviglie.
Meraviglie dove vedi sempre i soliti bolliti, tutti a fare la fila per sentire dal vivo Fabio Volo o Erri De Luca, Fabio Fazio o Roberto Saviano, Luciana Littizzetto o Chiara Gamberale, Eugenio Scalfari o Umberto Eco (che quest'anno non ci sarà perché è morto, ma potrebbero portarci la salma, come Padre Pio), oppure i libri di Dario Franceschini, il quale, come ministro, è pure socio e finanziatore della Fondazione per il libro di Torino, e crede perfino di essere uno scrittore, nella categoria degli «e», che in
Italia proliferano come funghi: giornalista e scrittore, attore e scrittore, conduttore e scrittore, e Franceschini, ministro e scrittore. Milano o Torino? Chissenefrega. Se non è zuppa è pan bagnato. Pan Bagnato e scrittore.
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