Quando Eco predisse i reality: "Famosi solo per essere famosi"

Esce una raccolta dei saggi del filosofo dedicati alla tv in cui già prefigurava la malattia sociale della visibilità

Quando Eco predisse i reality: "Famosi solo per essere famosi"

Ancora non ce ne siamo accorti, ma la televisione è pressoché morta, o quantomeno agonizzante. Almeno come l'abbiamo intesa fino a oggi, come mezzo di comunicazione di massa, anche perché la maggior parte delle nuove generazioni la televisione non la guarda, sostituita da altri mezzi, dai social a Youtube. È più facile, insomma, che vostro figlio conosca Cicciogamer invece di Massimo Giletti.

In quest'ottica risulta interessante leggere la raccolta di saggi di Umberto Eco Sulla televisione (La Nave di Teseo), che fotografa l'evoluzione del mezzo televisivo nell'arco di mezzo secolo. A cominciare dalla celebre Fenomenologia di Mike Bongiorno, uscita nel 1963, dove Eco identificava il successo dell'everyman, dell'uomo qualunque. Che però non era l'uomo qualunque odierno, perché è vero che «Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi», ma d'altra parte «dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa». Era il simbolo dell'ignorante genuino di un tempo, mentre l'ignorante di oggi ti spiega quello che non sa, e gli esperti di qualsiasi campo sono banditi dalla televisione, sostituiti dagli opinionisti, in un contesto in cui tutte le opinioni si equivalgono.

«Nel mondo del futuro», scriveva Eco, «pur di essere visti e parlati si sarà pronti a fare di tutto. Non ci sarà differenza tra la fama del grande immunologo e quella del giovanotto che è riuscito a ammazzare la mamma a colpi di scure». È un testo di quasi un ventennio fa, ma attualissimo: abbiamo visto un immunologo come Roberto Burioni dibattere contro una mamma no-vax, come se i due ruoli fossero paritari. A parlare di medicina sono intervenuti Red Ronnie o Eleonora Brigliadori, che l'everyman Mike Bongiorno non avrebbe ritenuto idonei a parlare di argomenti che non conoscono.

Nei vari saggi di Eco, passando di anno in anno e di decennio in decennio, si avverte un cambiamento epocale, dalla televisione come mezzo per educare le masse, a quella che punta a compiacerle, fino alla televisione fatta direttamente dalle masse, con l'avvento dei reality. Sembra strano pensare, per esempio, che negli anni Settanta e Ottanta scrittori come Pasolini o Moravia erano invitati in televisione a parlare del loro lavoro, e Alberto Arbasino poteva perfino condurre una trasmissione, oggi non si saprebbe dove invitarli, né perché, in fondo Fabrizio Corona fa più audience e dunque vale cinquantamila euro.

Non c'è più bisogno di eccellere in qualcosa, basta essere famosi per qualcosa, qualsiasi cosa. Ragione per cui tutte le preoccupazioni sulla privacy (che tanto impensierivano il defunto Stefano Rodotà) si sono rivelate infondate: «Oggi la persona comune non desidera la privacy. Se è cornuto corre in televisione a litigare con il proprio partner infedele davanti a milioni di spettatori, se soffre di una malattia terribile sfila in pubblico con cartelli per sostenere i diritti dei suoi compagni di sventura». L'importante è avere visibilità, sebbene i tempi siano cambiati, e la tv è solo uno dei tanti mezzi per farsi vedere, e non il più importante.

Nel 2002 Eco scriveva: «A un bambino che cresce parrà naturale vivere in un mondo dove il bene primario sarà la visibilità. Dove per essere riconosciuti dagli altri e non vegetare in uno spaventoso e insopportabile anonimato si farà di tutto per apparire, in televisione o in quei canali che a quell'epoca avranno sostituito la televisione».

Quei nuovi canali sono finalmente diventati predominanti, la visibilità non passa più dalla televisione, casomai alla televisione ci si arriva per confermare e amplificare una visibilità che si ha già (e una come Chiara Ferragni della visibilità televisiva se ne può tranquillamente fregare, basta non toglierle Instagram). La Rai continua a essere lottizzata dai partiti (perfino da quelli che per anni hanno strepitato contro la lottizzazione), ma nessuno se ne dà poi tanta pena, neppure le opposizioni. Abbiamo perfino un partito di maggioranza al governo che si è affermato snobbando la televisione (ai parlamentari del Movimento Cinque Stelle veniva impedito di essere ospitati nei talk show), passando dalla rete.

I suoi esponenti, giunti al governo, adesso però li ritroviamo costantemente in televisione, ma non come i politici che una volta andavano alla Tribuna politica (alla quale Eco dedicò molte pagine), piuttosto sembrano tutti partecipanti del Grande Fratello. Casomai la televisione serve a commentare quello che hanno scritto il giorno prima su Facebook e Twitter, oltre che, ovviamente, per farsi vedere da chi ancora guarda ancora la televisione.

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