Quando Einaudi pagò Hemingway in "azioni"

Nel 1955, per entrare in possesso dei diritti d'autore maturati con l'Einaudi, Hemingway avrebbe acquistato una grossa quota di azioni della casa editrice

Quando Einaudi pagò Hemingway in "azioni"

Nel 1955, per entrare in possesso dei diritti d'autore maturati con l'Einaudi, Hemingway avrebbe acquistato una grossa quota di azioni della casa editrice. Lo sostiene il giornalista e scrittore Andrea di Robilant in un lungo articolo, Papa the investor, comparso sul blog della Paris Review. L'articolo si sofferma sul rapporto fra «Papa», il nomignolo con cui Hemingway veniva chiamato dagli amici, e le due principali case editrici italiane che se lo contesero, l'Einaudi e la Mondadori. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale l'autore americano, che era stato ostracizzato dal fascismo, siglò una serie di contratti con la casa editrice di via Biancamano alla quale andarono i diritti di Fiesta, dei Quarantanove racconti, di Morte nel pomeriggio, di Verdi colline d'Africa e di Avere e non avere mentre la Mondadori, vantando contratti firmati in Svizzera, riuscì a mettere le mani su due titoli fondamentali, Addio alle armi e Per chi suona la campana. In seguito, nel 1948, Arnoldo Mondadori avrebbe invitato lo scrittore e la quarta moglie Mary Welsh nella villa di famiglia a Meina, con lo scopo di convincerlo a cedergli i diritti di tutte le sue opere.

Negli anni successivi, nonostante i giri di valzer con Mondadori e sebbene con il passare del tempo Hemingway si fosse allontanato dalla casa editrice torinese, la quale era diventata un punto di riferimento per gli intellettuali comunisti, i romanzi pubblicati dall'Einaudi vendettero moltissimo, tanto che nel 1954 le royalties oltrepassavano i nove milioni di lire: una cifra astronomica che l'Einaudi, le cui finanze erano cronicamente malandate, non sarebbe mai riuscita a pagare. L'anno successivo, per salvare la casa editrice dalla bancarotta, fu proposto un aumento di capitale di otto milioni di lire. Per guadagnare tempo sul celebre creditore, Giulio Einaudi propose allora a Hemingway di rifarsi dei diritti non pagati acquistando delle azioni e lo scrittore, fra la sorpresa di tutti, accettò, sottoscrivendo azioni per oltre tre milioni e duecentomila lire. Il resto dei diritti sarebbe stato pagato in rate mensili di 300.000 lire.

Secondo di Robilant, le azioni Einaudi si sarebbero rivelate un pessimo affare: mentre il prestigio della casa editrice saliva alle stelle, le sue finanze continuavano a declinare, tanto che lo stesso Hemingway già nel 1958 dovette ammettere che il suo stock di azioni, che non riuscì

mai a vendere, era privo di valore.

Nel 1961, l'anno in cui Hemingway si sparò un colpo di fucile, le azioni Einaudi da lui acquistate languivano in una filiale veneziana della Banca del Lavoro, dove erano state depositate.

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