Cultura e Spettacoli

Quando Morricone rischiò il posto

"Sperimentavo nelle colonne sonore. Mi dissero che non mi avrebbero più chiamato"

Quando Morricone rischiò il posto

SERGIO LEONE «Alla fine del '63, un giorno squillò il telefono di casa. Buongiorno, mi chiamo Sergio Leone Il tale disse di essere un regista e senza farla troppo lunga aggiunse che mi sarebbe venuto a trovare di lì a poco per discutere più dettagliatamente di un suo progetto. All'epoca vivevo a Monteverde Vecchio. Il cognome di Leone non mi era nuovo, ma appena me lo trovai davanti sulla porta di casa qualcosa nella mia memoria si attivò immediatamente. Notai da subito un movimento del labbro inferiore che mi ricordava qualcosa: quell'uomo assomigliava a un ragazzino che avevo conosciuto in terza elementare. Gli chiesi: Ma tu sei Leone delle elementari?. E lui: E tu Morricone che veniva con me a viale Trastevere?. Da non crederci».

PASOLINI «Un po' come tutti leggevo i giornali, molti dei quali, per infangarlo, lo accusavano di episodi da cronaca nera, autentiche falsità, come quella di aver rapinato un benzinaio! Quando lo conobbi mi trovai davanti un uomo laborioso, serio, una persona rispettosissima e onesta, che agiva con grande discrezione. Mi colpì profondamente, tanto che di quel primo incontro conservo ancora oggi un ricordo prezioso. Parlaste subito del tuo contributo al film? Sì: tirò fuori dalla tasca una lista sulla quale aveva annotato una serie di musiche molto note che voleva fossero applicate al film. Mi chiese gentilmente di adattarle dove fosse necessario. Quella modalità, però, a me non andava a genio, e replicai che come compositore non mi sarei occupato di semplici adattamenti di pezzi altrui, belli o brutti che fossero. Così dicendo, aggiunsi che molto probabilmente aveva sbagliato a chiamare proprio me. Rimase in silenzio qualche secondo, interdetto, e poi su due piedi mi disse: «Allora faccia quello che vuole».

CLINT EASTWOOD «Io e lui non ci sentiamo mai. Per via dei film di Leone il grande pubblico vi vede come due vecchi amici, quasi compagni di scuola, ma in realtà non musicasti mai un suo lavoro. I suoi sono bellissimi film, e ritengo magistralmente scritti e realizzati sia Million Dollar Baby (2004) sia Gran Torino (2008). Eastwood è un ottimo autore con una grande personalità. Devi sapere che, quando divenne regista, Eastwood mi chiamò. Io dissi di no per riguardo nei confronti di Leone. Non me la sentivo di fare le musiche per lui, che aveva recitato nei film di Sergio: mi sarebbe sembrato un tradimento della nostra amicizia. Parrà assurdo, ma è così. Mi contattò due volte, poi capì il mio pensiero e non lo fece più. Mi sentii sollevato quando seppi che aveva cominciato a comporsi le musiche da solo Meno male mi dissi».

DARIO ARGENTO «Dario Argento era ai suoi esordi e pareva ben disposto a tali sperimentazioni. A un certo punto, però, suo padre Salvatore, il produttore, mi prese da parte e mi disse: A me pare che lei stia facendo la stessa musica in tutti e tre i film. Gli risposi: Guardi che è diversa, se la sentiamo insieme le spiego anche il perché. Così andammo in sala e ascoltammo tutto, ma non credo che arrivammo a capirci fino in fondo. Il problema era suo? Era mio? Da quell'esperienza capii che per qualcuno la dissonanza rappresenta un problema: se utilizzata in modo protratto nel tempo, con i dodici suoni, fa perdere quei riferimenti armonici funzionali o comunque il fil rouge melodico che generalmente guida l'ascolto, nonostante in quel caso io avessi cercato di compensare. Dentro mi ripetevo: E la dodecafonia? La mia ricerca? Ora dove la metto?. Ma non c'era modo di spiegarlo: a lui quella musica suonava sempre uguale. La collaborazione con Dario Argento si interruppe dopo questo episodio e riprese solo quindici anni più tardi (La sindrome di Stendhal, '96). Loro non mi chiamarono e io non li cercai. Mi ostinai, continuai a sperimentare con altri film che mi consentissero questa ricerca, dandomi sempre maggiore libertà. Tentai di tutto! Arrivai a livelli di complessità piuttosto elevati utilizzando organici particolari e continue invenzioni, date dal contesto del film, ma dopo circa ventitré o ventiquattro esperimenti di questo tipo mi fu fatto notare che proseguendo su questa strada non mi avrebbe più chiamato nessuno».

LAURA PAUSINI «All'incirca un paio di anni fa viene a casa mia Laura Pausini, con il marito, la bambina e il suo produttore. Mi chiede l'arrangiamento per La solitudine, il suo primo successo, raggiunto quando aveva vent'anni. Vuole riproporla, la canzone è bella e lei la canta molto bene. Il problema è che parliamo di un pezzo di vent'anni fa che ha avuto successo in quel contesto storico, quindi non potevo scegliere la normalità. Dovevo concepire un arrangiamento che usasse in modo aggressivo un tema semplice, non doveva restare passivo con melodia e armonia. Ti confesso che mi ha fatto soffrire. Non dico che stessi per ammazzarmi, ma ho lavorato duramente perché con l'arrangiamento il pezzo conquistasse, vent'anni dopo, una svolta, un volto diverso. Davvero, mi è costato fatica, ma lei è stata molto contenta. Ne è rimasta colpita quando l'ha sentita per la prima volta, non s'aspettava tanta tensione, però l'ha accettata e le è piaciuta.

Durante uno spettacolo ha anche voluto darmi un premio, un microfono finto».

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