Cultura e Spettacoli

Quando la tv iniziava (o finiva) con una sigla indimenticabile

A quell'epoca, parliamo degli anni di Indietro tutta, lui diceva a lei che sì, avrebbe adempiuto al più presto ai propri doveri coniugali, ma soltanto "dopo il tiggì"

Quando la tv iniziava (o finiva) con una sigla indimenticabile

A quell'epoca, parliamo degli anni di Indietro tutta, lui diceva a lei che sì, avrebbe adempiuto al più presto ai propri doveri coniugali, ma soltanto «dopo il tiggì». La canzone Vengo dopo il tiggì, ironicamente allusiva come nello stile di Renzo Arbore, oggi non sarebbe proponibile dal momento che i tiggì si sono espansi h24 e si sono moltiplicati, di conseguenza, gli alibi per non adempiere ai doveri di cui sopra.

Era un'altra Italia, ed era un'altra televisione quella che contemplava l'importanza delle sigle all'interno delle trasmissioni. Lo studioso Claudio Federico, nel realizzare il pregevole volume Attenti alle sigle! Testa e coda dei programmi TV (Edizioni Efesto), rende omaggio a una stagione delle nostre vite in cui la sigla era «l'abito indossato nei titoli di testa e di coda» e quegli abiti, spesse volte, erano firmati da artisti di grosso spessore. Pensiamo innanzitutto al varietà, genere oltretutto scomparso dai palinsesti insieme alle sigle. Pensiamo, giusto a titolo di esempio, a Domenica è sempre domenica cantata da Mario Riva, oppure a Dadaumpa e La notte è piccola ballate dalle Kessler, per non menzionare Ma che musica maestro e Ballo ballo portate al successo da Raffaella Carrà, piuttosto che Cicale di Heather Parisi e La notte vola di Lorella Cuccarini...

La qualità dei programmi, non solo di intrattenimento, derivava dalla somma dei talenti che vi lavoravano, e le sigle dovevano mostrarsi all'altezza dell'insieme, dovesse trattarsi di sceneggiati avventurosi come La freccia nera oppure, in tutt'altro ambito, il Maurizio Costanzo Show, la cui strumentale E penso a te è il simbolo di una televisione «coi baffi». Pure i quiz di una volta, quelli del sempiterno Mike Bongiorno, non sarebbero stati gli stessi senza le sigle animate da creativi come Bruno Bozzetto e Guido Manuli.

Quando nacque la tv italiana, nel '54, Vito Molinari, prefatore del libro, faceva già il suo lavoro di regista che poi lo avrebbe condotto a dirigere Un due tre, L'amico del giaguaro, La trottola. Molinari è testimone di un'epoca in cui la vita era «tutta un quiz». Lo è anche oggi.

Solo che le risposte, allora, erano tutte molto più chiare.

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