Kang è il nome proprio. Han, il cognome. Han Kang è una delle scrittrici più citate e lette dell'ultimo anno, in Italia. Nel 2016 ha vinto il Booker Prize per La vegetariana, romanzo su una donna che decide di smettere di mangiare carne fino a trasformarsi in una pianta, subito tradotto da Adelphi: recensitissimo e vendutissimo anche da noi. Mentre ora, premiato dopodomani a Capri con il prestigioso Premio «Curzio Malaparte», esce un suo romanzo del 2014, Atti umani (Adelphi), un lungo dialogo tra i vivi e i morti ambientato nella rivolta popolare contro il regime del presidente Chun Doo-hwan, repressa nel sangue, avvenuta nella Corea del Sud nel 1980. Il centro del massacro fu Gwangju, sesta città della Corea del Sud, dove Han Kang è nata, nel 1970.
L'eccidio di Gwangju è una pagina di storia di cui l'Occidente sa poco o nulla.
«Per anni è stato tutto occultato. Poi nel 1997 il presidente Chun Doo-hwan fu condannato in un processo nel quale era accusato della responsabilità dei fatti di Gwangju. Ma ancora fino a nove anni fa, con il regime di destra che reggeva la Corea del Sud, si è assistito al continuo tentativo di cancellare il ricordo di quel massacro nel Paese. Ora però le cose stanno cambiando. Lo scorso inverno si è celebrato il ricordo della rivoluzione delle candele, lo strumento non violento con cui ci si opponeva al regime e a maggio la cerimonia ufficiale per le vittime di Gwangju è stata trasmessa in tv in tutto il Paese».
Oggi la Corea del Sud ha riconquistato la democrazia, e appare economicamente forte. È così?
«In realtà esistono ancora diversi problemi in Corea del Sud. Oggi dobbiamo affrontare gli effetti economici e sociali del nuovo liberalismo, le conseguenze di una società polarizzata, piena di contrasti, con una forte competizione, e soprattutto dobbiamo fare i conti con la gravissima situazione tra Stati Uniti e Corea del Nord, che è sotto gli occhi di tutti, e che può avere ricadute terribili sul mio Paese».
Che cosa potrebbe succedere nella Corea di Kim Jong-un?
«Quello che posso dire è che la pace è il primo e unico presupposto per il futuro della penisola coreana. Alcune persone parlano di vittoria, di strategia, di guerra... mi sembra tutto così assurdo. Soltanto la pace è la vita, e noi vogliamo la vita. Le persone in Corea, ovviamente, sono molto preoccupate di uan simile situazione».
Atti umani parla della repressione di un movimento che difende le libertà individuali, ma più in generale riflette sulla brutalità del Potere. La violenza è una parte ineliminabile del mondo?
«Dobbiamo guardare la violenza in modo lucido. E non dovremmo rinunciare mai ad opporci agli atti di sopraffazione e di ingiustizia, che sì - certo - li possiamo trovare ovunque. Ma se noi rinunciamo alla violenza come singoli individui, allora possiamo equilibrare la tensione generale che aleggia attorno a noi: nelle nostre case, nelle città, persino nel mondo».
Nel libro, alla violenza del Potere si contrappone la dignità di alcuni uomini. In che modo il singolo individuo può opporsi alle ingiustizie della società?
«Io credo fortemente nella dignità umana. Io provo dolore davanti alle atrocità di cui gli uomini danno prova ogni giorno. Ma non dobbiamo mai distogliere lo sguardo, fare finta di nulla, accettare la violenza come una cosa normale. Mai assuefarci al dolore. Al contrario: dobbiamo preservare il dolore perché è la prova più importante che si possa avere ancora fiducia nell'umanità».
In Italia abbiamo conosciuto Han Kang grazie a La vegetariana, storia di una donna che vuole diventare una pianta perché rifiuta la violenza dell'uomo. Sembra un incubo, ma ha avuto grandissimo successo.
«Forse perché sempre più persone condividono la stessa domanda sul significato profondo dell'essere umano. È una domanda universale. La questione che si pone Yeong-hye, la vegetariana protagonista del romanzo, è semplice e inquietante insieme: si interroga sulla possibilità o l'impossibilità di rifiutare qualsiasi tipo di violenza, contro qualsiasi essere vivente».
Ne La vegetariana la protagonista è sempre vista dagli altri. Mentre in Atti umani il racconto del protagonista, nella prima parte, è in seconda persona. Due costruzioni narrative particolari...
«La protagonista non parlante chiede al lettore di tirare fuori il suo vero volto. La prospettiva della seconda persona serve invece a chiamare un personaggio a una maggiore presenza. Gli dà vita».
Lei, prima di essere romanziera, è poetessa. Che cosa ha la poesia che il romanzo non ha, e viceversa?
«Scrivo sempre poesie. La poesia è parte della mia vita».
Lei ha detto che da piccola quando si poneva le tipiche domande di quell'età - «perché esiste il dolore, perché esiste la morte» - pensava che i libri contenessero
le risposte. Poi ha capito che contengono domande. Fa la stessa cosa nei suoi romanzi?«Sì, ho ancora molte domande. Cerco di completarle mentre scrivo libri... Ne ho così tante che sto lavorando a una trilogia».
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