Radiogiornale

Le «app» per ascoltare le radio su quasi tutti i «device» in circolazioni sono un benefit del progresso. Sono gratuite, leggerissime, si scaricano velocemente e garantiscono un audio perfetto. Una volta sarebbe stato un sogno potersi «portare dietro» la radio con un sistema poco ingombrante e addirittura planetario. Ad esempio, all'estero con il wifi si può ascoltare in diretta la radio preferita senza sostanzialmente pagare un centesimo né consumare dati. Potrebbe sembrare la quadratura del cerchio ed è comunque la dimostrazione di quanto agilmente la radiofonia si sia adattata alla rivoluzione del web riuscendo a cavalcarla senza perdere tempo. Però resta il problema dell'affidabilità e, nonostante ne abbiamo parlato qui negli anni scorsi, la situazione non è cambiata. Il flusso dati spesso non è stabile, subisce oscillazioni drammatiche e scende sotto il limite di «tolleranza» richiesto dalle «app» delle singole emittenti. Risultato: il segnale sparisce. La «app» rimane muta, quindi la radio non si può più ascoltare e poi non è sempre così veloce riprendere a farlo. In sostanza, la scarsa affidabilità del traffico dati wifi o streaming e forse l'ancora eccessiva «richiesta» di flusso di molte «app» rende non sicura la ricezione di un numero assai alto di radio. È senza dubbio un fenomeno destinato a ridursi e a sparire nel giro di pochissimo tempo.

Ma, se si considera che spesso il segnale arriva quasi «in differita» di un minuto o due (si nota durante i segnali orari o i radiogiornali), le «app» delle radio sono ancora come una Ferrari che non riesce a ingranare la quinta marcia.

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