Cultura e Spettacoli

Rapporto complesso

Anni fa, quand'ero ancora governatore della California, fui invitato a parlare a un gruppo di uomini d'affari a Londra. Il partito conservatore britannico aveva appena eletto a suo capo Margaret Thatcher.

Rapporto complesso

Anni fa, quand'ero ancora governatore della California, fui invitato a parlare a un gruppo di uomini d'affari a Londra. Il partito conservatore britannico aveva appena eletto a suo capo Margaret Thatcher. Era la prima donna a ricoprire quell'incarico. Un mio amico che abitava a Londra conosceva i coniugi Thatcher e mi combinò un incontro con la nuova leader conservatrice. In quel primo colloquio nell'ufficio della signora Thathcer, che durò non meno di un'ora e mezzo, constatai che c'erano vaste zone d'accordo tra noi sull'economia e sul ruolo dello Stato nei confronti del settore privato. La sera stessa fui ospite a un ricevimento. Uno dei presenti, che aveva saputo del mio incontro con la signora, mi domando: «Le è piaciuta la nostra Thatcher?». Gli risposi che ne ero rimasto molto impressionato e aggiunsi: «Credo che sarebbe un magnifico primo ministro». Al che il mio interlocutore disse: «Ma caro amico, una donna primo ministro?». Dal suo tono si capiva che riteneva una simile ipotesi addirittura impensabile. Allora gli ricordai che l'Inghilterra aveva avuto una regina di nome Vittoria, che si era comportata piuttosto bene. «Accidenti, me ne ero completamente dimenticato», replicò il mio interlocutore.

Ebbene, Margaret Thatcher è primo ministro del Regno Unito da 10 anni. È rispettata da tutti i capi di Stato e di governo che l'hanno conosciuta. Ha migliorato l'economia britannica e ha restituito alla proprietà privata molte aziende statali. Sono stati grandi risultati. Se guardiamo indietro agli anni Settanta, ci rammentiamo che si trattò di un periodo economicamente depresso. In America si faceva la fila per la benzina, c'era un alto indice di inflazione e i tassi d'interesse salivano a razzo. Ma la situazione in Europa, e in particolare in Gran Bretagna, era ben peggiore.

Resurrezione di principi

Quello che in Usa chiamavamo «indice di disagio», in Inghilterra veniva definito «stagflazione»: cioè una combinazione di crescita economica zero e di forte inflazione, che in un anno era salita ad oltre il 25%. Peggio ancora: dopo quasi 40 anni di socialismo si erano profondamente radicate l'inefficienza sul piano produttivo e la mancanza di iniziativa dell'esecutivo. L'intraprendenza britannica, che ai tempi della regina Vittoria aveva trasformato mezzo mondo, sembrava assopita.

Margaret Thatcher ha cambiato tutto questo, dando prova di due grandi qualità. La prima è di avere pensato seriamente a come rivitalizzare l'economia britannica e di avere assunto la carica di Primo ministro con una chiara consapevolezza delle politiche necessarie per raggiungere l'obiettivo: ha ridotto l'inflazione frenando la domanda monetaria e ha cominciato a rimuovere i controlli, i sussidi e le norme che impigrivano il mondo degli affari. La sua seconda qualità è stata la fermezza da vera britannica con cui ha agito. Sia lei che io abbiamo capito che le nostre politiche non avrebbero risolto dall'oggi al domani problemi radicati da molto tempo. I primi effetti delle nuove politiche durante la recessione mondiale del 1981-1982 furono infatti dolorosi.

Ricordo di aver incontrato la Thatcher a Washington in un momento in cui nei nostri rispettivi Paesi l'opinione pubblica reclamava un radicale cambiamento di rotta. Margaret Thatcher non ha mai ondeggiato: e i fatti le hanno dato ragione. La Gran Bretagna gode oggi di una ripresa economica senza precedenti, lunga come quella americana. I commerci britannici, svegliatisi dal lungo sonno del socialismo, sono i nostri più vivaci rivali sui mercati mondiali. Infine, la signora Thatcher ha cominciato a smantellare le fondamenta stesse del socialismo, privatizzando grandi industrie nazionalizzate, come quelle dell'acciaio e dell'aviazione civile. Come io modestamente rivendico che i tagli apportati alle tasse dalla mia Amministrazione nel 1981 hanno suscitato un'ondata di analoghi tagli in tutto il mondo, così il programma di privatizzazione di Margaret Thatcher è stato imitato in molti altri Paesi, dalla Turchia alla Nuova Zelanda. E anche negli Stati Uniti abbiamo fatto la nostra parte, e forse qualcosa di più.

Come risultato, Margaret ha determinato una resurrezione di quei principi a cui la Gran Bretagna è sempre stata fedele. Ciò non è mai stato così evidente come nell'immediata reazione della Thatcher quando fu sfidata la sovranità britannica sulle isole Falkland. Gli Stati Uniti cercarono di favorire una sistemazione pacificia sulla quale si trovassero d'accordo entrambe le parti. Ma mi era sempre stato chiaro che se tale sistemazione non fosse stata possibile, gli inglesi avrebbero combattuto. Mi sono reso conto allora della ferma determinazione di Margaret; altri forse non lo capirono.

Questa determinazione è stata preziosa soprattutto quando la Nato decise di installare i missili a raggio intermedio nell'Europa Occidentale per contrastare gli SS-20 sovietici. Io avevo offerto ai sovietici l'opzione zero, col ritiro dei missili da entrambe le parti. Tuttavia, quando i sovietici respinsero l'offerta e abbandonarono la conferenza di Ginevra, fummo proprio noi ad essere denunciati come guerrafondai dal cosiddetto movimento pacifista. In tutta Europa i «marciatori della pace» dimostravano per impedire che i missili occidentali venissero installati a loro difesa, mentre tacevano sui missili sovietici puntati contro di loro. E ancora una volta Margaret, nonostante quelle manifestazioni, non ebbe esitazioni. L'Europa Occidentale restò salda. Installammo i missili, e i sovietici, sotto la nuova guida di Mikhail Gorbaciov, tornarono due anni dopo al tavolo delle trattative per negoziare il trattato Inf e il ritiro di entrambi i dispositivi nucleari. Credo che gli storici giudicheranno questi eventi come uno dei grandi punti di svolta nel mondo postbellico. Non l'avremmo raggiunto senza la pazienza e il coraggio di leader come Margaret Thatcher.

Pur con tutta la sua forza, Margaret è rimasta una donna. C'è in lei un'affascinante umanità. Alcuni anni fa, durante uno dei vertici dei «Sette» che si tenne in Inghilterra sotto la presidenza di Margaret, un capo di governo ora non più in carica sparò a zero contro di lei. La accuso di gestire il vertice in modo antidemocratico, dittatoriale, e così via. Margaret lo lasciò sfogare, poi continuò a dirigere come se nulla fosse: non fece neppure il minimo sforzo per replicare. Al termine del vertice mi avvicinai a lei e le dissi ciò che pensavo della sfuriata di quel Primo ministro che aveva oltrepassato ogni limite e non aveva, tra l'altro, alcun diritto di protestare. La tranquilla risposta della signora fu: «Le donne sanno quando gli uomini diventano infantili».

Confidenziale innovazione

Mi accorgo adesso di aver usato a volte il nome «Margaret» al posto di «signora Thatcher». Devo spiegare che i nomi di battesimo si usavano regolarmente nei nostri vertici. Ed è sorprendente notare quale differenza faccia, in riunioni di questo genere, parlarsi usando i nomi di battesimo invece dei titoli formali. Credo che il merito di questa confidenziale innovazione vada soprattutto alla Thatcher.

I rapporti personali hanno più importanza in politica internazionale di quanto non pensino gli storici. Naturalmente, le nazioni perseguono senza troppi riguardi i loro preminenti interessi nelle grandi questioni. Ma in molte importanti occasioni la fiducia instaurata in anni di contatti tra i leader può essere molto utile. Personalmente ho trovato molto vantaggioso avere a Downing Street un'amica, oltre che un'alleata. Margaret è sempre stata franca ed esplicita nei suoi rapporti con me, e in genere ci siamo trovati in perfetto accordo. Le sono grato per averci dato il suo appoggio morale e materiale quando decidemmo di bombardare obiettivi di terroristi in Libia per proteggere le nostre forze in Europa o gli americani in tutto il mondo contro il terrorismo di Stato.

Ma, fossimo d'accordo o no, ho capito che i suoi consigli venivano da una sincera amica del popolo americano e che noi avevamo in sostanza lo stesso punto di vista in merito ai grandi problemi politici e sociali. Attribuiamo, soprattutto, l'identico altissimo valore alla libertà. Abbiamo avuto la fortuna di essere eletti - condividendo le stesse idee - nel momento in cui si aprivano occasioni per estendere la nostra libertà ad altri Paesi: a molti del Terzo mondo, all'Afghanistan, all'Europa dell'Est, alla stessa Unione Sovietica.

Margaret Thathcer: questa grande signora non ha servito bene solo il proprio Paese; ha servito bene tutto il mondo libero. È stata davvero una grande statista. Tanto che correggerò quello che ho appena detto; è stata una grande donna-statista che si distingue fra tutti gli statisti-uomini del mondo.

Copyright «National review

Il Giornale»

30 aprile 1989

Commenti