L'anno scorso neanche un attore di colore tra le nomination agli Oscar. Neppure un asiatico. Né, sia mai, un latino. Due anni fa più o meno lo stesso. Stavolta sette vanno ad attori di colore e Clint Eastwood con il candidatissimo Sully sparito dalle liste che contano. In mezzo c'è elezione di Trump che, come ormai sanno anche i sassi, per Hollywood è il pericolo pubblico numero uno. Come nei migliori copioni di action thriller, si è già scatenata la guerra tra buoni e cattivi. Il web e i social celebrano le prime nomination anti Trump e dimenticano che Mel Gibson, storico sostenitore dei conservatori, possa addirittura vincere come "miglior film".
Qualcuno, come riporta Metro Uk, si scandalizza addirittura che Eastwood abbia ricevuto una nomination piccola così per il montaggio sonoro del suo film giudicato bellissimo coram populo. Insomma, gli stessi che l'anno scorso avrebbero penalizzato la naturale multirazzialità del grande cinema, quest'anno l'avrebbero esaltata per strumentalizzarla a scopo politico.
Senza valutare che, per un premio, si dovrebbe contare solo la qualità, e facendo finta che cinici magnati hollywoodiani possano vanificare investimenti da centinaia di milioni soltanto per propaganda, la recente evoluzione delle nomination agli Oscar rende l'idea di un'Academy senza equilibrio, in balìa di pulsioni demagogiche e sostanzialmente sganciata dall'idea di merito. Un sospetto gravissimo che conferma quanto sarebbe opportuno tener fuori politica, politici e politicanti da qualsiasi premio artistico.
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