«Se qui si mettono a ridere, sono fregato». Così tremava ventotto anni fa; così trema ancora oggi. «Io non sono un attore comico riflette Gigi Proietti sono un attore. Che c'è di strano se interpreto Shakespeare?». Ma nessuno rise nel 1989 come nessuno lo farà il prossimo 7 luglio, alla prima di Edmund Kean: il dramma di Raymund FitzSimons sul più grande attore shakespiriano del diciannovesimo secolo, che il «mattatore» romano, in temporanea deroga ai suoi comici e popolarissimi one man show, interpretò la prima volta ventotto anni fa. E torna oggi a riproporre, per la seconda stagione, al Globe Theatre di Roma del quale è direttore artistico.
Allora Proietti: come reagirà il suo pubblico a sentirla declamare «Essere o non essere», piuttosto che «Toto e la sauna»?
«Se si mette a ridere mi sparo. Ma qui lo dico e qui lo nego: io sono un attore. E dopo quattro anni di direzione artistica di un teatro dove si recita solo Shakespeare, e dove finora non avevo mai messo il naso (vi ho fatto solo una regia, Romeo e Giulietta) prima o poi dovevo anche salire in scena. Così ho recuperato questo magnifico dramma, di cui comperai i diritti dopo averlo visto a Londra con un Ben Kingsley fresco di Oscar, e in cui si narra il genio e la sregolatezza del più grande attore shakespiriano dell'ottocento».
E si interpretano i monologhi più celebri di Amleto, «Riccardo II», «Macbeth», «Mercante di Venezia»... Roba più da Gassman che da Proietti, verrebbe da pensare.
«Già: lo pensavo anch'io. Ma poi Gassman stesso venne ad applaudirmi. La gente scorda che prima di A me gli occhi lo spettacolo con cui lanciai lo one man show comico - io ho recitato Sofocle, Brecht, Beckett, Moravia, la sperimentazione, il grande musical... Potevo ignorare il più grande drammaturgo di sempre?».
Come è costruito Edmund Kean?
«È l'immaginario monologo di questo celebre divo e colossale bevitore che, solo nel suo camerino, passa in rassegna una vita di trionfi ed eccessi, confondendo gli uni (le tragedie di Shakespeare) con gli altri (l'alcolismo, le donne, la sifilide) e infila un celebre monologo dietro l'altro. Due ore di mortale sfacchinata».
Se le proponessero uno Shakespeare integrale lo farebbe? E quale sceglierebbe?
«Avrebbero dovuto propormelo trent'anni fa... Forse farei il Re Lear. Anzi no: il Prospero de La Tempesta».
Il teatro, che è una replica esatta dell'originale Globe del Bardo aprirà il 22 con una versione in siciliano di «Molto rumore per nulla», gode ormai d'una vasta popolarità. Forse inattesa.
«Dica pure inimmaginabile. Nessuno ci avrebbe scommesso una lira. Shakespeare piace solo ai vecchi dicevano tutti -. E poi d'estate, in una Roma deserta, senza le poltrone di velluto... Beh: sono quattro anni che riempiamo ogni replica. Soprattutto con ragazzi dai 18 ai 30 anni. I quali si portano i cuscini da casa».
Come se lo spiega un successo simile?
«Diciamoci la verità: oggi chi legge Shakespeare, chi lo capisce fino in fondo? E' difficile per noi attori, figuriamoci per un ragazzo. E poi oggi quasi nessuno lo mette in scena così com'è; oggi vanno di moda le riletture. Ma se un ragazzo non conosce l'Otello, e ne vede la rilettura non ci capisce un accidente, è logico. Noi invece facciamo Shakespeare quello vero. E così assolviamo anche una funzione educativa».
Apprezzata dal pubblico. Ma riconosciuta anche a livello politico?
«Mah... Il Globe è del Comune di Roma, dovrebbe sostenerlo lui. Invece le sovvenzioni vengono ridotte, e nel frattempo, se non vuoi chiudere, devi metterci soldi tuoi. Per fortuna gli incassi vanno bene. La verità? Non è vero che i soldi non ci sono. Ci sono solo per alcuni. E io non ho alcun santo in Paradiso».
Beh, a giudicare dalla sua inesauribile attività, non si direbbe...
«Non creda. Sono già 77. A questo punto della mia carriera vorrei riposare un po'. E invece lavoro come un matto. Dopo il successo di Cavalli di battaglia Raiuno vuole altre quattro puntate.
Ho appena finito di girare una nuova serie della fiction Una pallottola nel cuore (quanto sono faticose le fiction!), e un film di Alessandro Gassman, un road movie intitolato Il Premio, in cui faccio il padre di Alessandro, un letterato che si mette in viaggio per Stoccolma dove ritirerà il Nobel. Un altro ruolo drammatico: piuttosto duro, con ampi spazi di malinconia, con punte di depressione... E speriamo che la gente non rida».
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