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Alla riscoperta dei versi perfetti di René Char

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Alla riscoperta dei versi perfetti di René Char

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Davide Brullo

Albert Camus, settant'anni fa, semplicemente, capitolò. «Ho sul mio tavolo le bozze di Fureur et mystère. Una parola sola, per dirti la mia gioia, per dirti che è il più bel libro di poesia in questa malcapitata epoca. Con te, la poesia diventa coraggio e fierezza». Fine settembre 1948, la leggenda di René Char(1907-1988), il poeta guerriero fu Alexandre durante la resistenza francese pari a Eschilo, il tragico-teologo che voleva essere ricordato perché c'era anche lui sulla piana di Maratona con l'elmo indosso, si salda nell'oro.

Energumeno, imperativo, schivo, Char è tra i grandi poeti del mondo moderno, al di là delle mode, con la furia a oltranza di chi combatte nei tunnel del linguaggio. Si faceva ispirare dai motti di Eraclito, dalla filosofia labirintica di Martin Heidegger, tenendo come cugino principesco Arthur Rimbaud, il poeta che «non si colloca», «porto naturale di tutte le partenze», «l'unica risposta dell'Occidente opulento, contento di sé, barbaro e poi senza forza... alle tradizioni e alle pratiche sacre dell'Oriente e delle religioni antiche così come alle magie dei popoli primitivi» (così in un testo esegetico e sentimentale del 1956). Influì anche sulla poesia italiana, il selvatico Char, Minotauro della poesia novecentesca. Se la traduzione di Fogli d'Ipnos è diventata una chiave per addentrarsi nell'opera poetica di Vittorio Sereni (suddito della poesia «insieme antielegiaca, antinarrativa, antidiscorsiva... d'illuminazione, ellittica, oracolare» di Char), s'è perso per strada il lavoro di Giorgio Caproni, che nel 1962 poco prima di licenziare per Garzanti la traduzione di Morte a credito di Céline , per Feltrinelli, insieme a Sereni, firma l'antologia Poesia e prosa dall'opera del titanico René. Ora, trent'anni dopo la morte di Char, dando una scossa al sistema editoriale italico che endemicamente manda in oblio autori salvifici, Elisa Donzelli recupera, sotto la sigla Poesie (Einaudi 2018, pagg. 242, euro 16), i testi di Char tradotti da Caproni, ricostruendo i rapporti tra i due poeti radi ma soprattutto il modo sinuoso in cui il verbo di Char s'incardina nell'opera del poeta nostro.

In mano, così, abbiamo un libro doppiamente bello: alla potenza di Char, capace di stringhe liriche che sconvolgono l'urbanistica del nostro cuore «Piégati soltanto per amare. Se muori, ami ancora» si somma il linguaggio di Caproni («tentativo il più delle volte disperato, almeno per i miei mezzi d'una imitazione italiana», lo dice lui), con deragliamenti di senso che emozionano («La nuit déniaise notre passé d'homme...» reso come «La notte dirozza il nostro passato d'uomo, inclina la sua specchiera dinanzi al presente, pone dell'indecisione nel nostro avvenire»). La cosa più ovvia da dire è che dovremmo avere più Char per vivere vertiginosamente e non come servi della gleba quotidiana; l'altra è che c'è un mucchio di bella roba da tradurre, editori svegliatevi.

Nel frattempo, appostiamoci in un verso qualsiasi di Char («L'infinito attacca ma una nuvola salva»), come cecchini della solarità.

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