Il neofolk sta vivendo una stagione d'oro grazie a gruppi come Mumford & Sons e Avett Brothers, ma la musica acustica sta vivendo un altro momento magico grazie ad un manipolo di artisti che la attualizzano destrutturandola, contaminandola con l'elettronica, con i suoni ambient, con il rock. È una musica che - fatte le debite proporzioni - è figlia delle elaborate ricerche acustiche di John Fahey (mitico sperimentatore degli anni '60 che si fece anche passare per il fantomatico Blind Joe Death)o delle sofisticate ballad, con tanto di sintetizzatore ed «effetti speciali», di Shawn Phillips (cantautore di culto grazie ad album di successo come Contribution e Second Contribution).
Uno dei migliori esponenti di questa corrente è il 32enne di Philadelphia Kurt Vile, il cui sound morbido ma al tempo stesso robusto è già stato definito lo-fi folk e heartland rock. Cresciuto con il banjo - Neil Young, Tom Petty, i Pavement e il citato Fahey nel cuore - Vile ha formato The War on Drugs, dal suono molto underground, prima di debuttare come solista, ma accompagnato fedelmente dai Violators. Dopo una fase di oscurità, punteggiata da lavori formativi come Constant Hitmaker, God Is Saying This to You, Childish Prodigy, si è fatto apprezzare da pubblico e critica con Smoke Ring For My Halo, confermando poi la sua vena di songwriter moderno e attuale con il nuovissimo Wakin On a Pretty Daze. «Cerco di non imitare nessuno - racconta - anche se la tradizione mi è entrata profondamente nelle ossa: mi ispirano gli assolo di Neil Young in On the Beach e i brani di Tom Petty e Bob Seger. I testi, per me fondamentali, nascono dalla vita quotidiana della middle class».
Un passato tormentato che ha lasciato cicatrici inguaribili è quello di John Grant, 45enne gay del Colorado che ha vissuto la dipendenza da droga e alcool, l'emarginazione e combatte quotidianamente contro la sieropositività. Nato artisticamente negli anni '90 con gli Czars, dopo aver vinto le sue battaglie personali è tornato come solista nel 2010 con l'album Queen of Denmark, votato dalla rivista Mojo come il miglior disco di quell'anno. Grant spazia da brani intimisti condotti dal suo pianoforte e dalla sua voce (con sofisticato sottofondo elettronico) a brani in cui il folk sembra incontrare i Radiohead, a pezzi quasi hip hop come Black Belt in duo con l'islandese Biggi Veira, della band elettronica Gus Gus. Naturale sviluppo di questo sound è Pale Green Ghosts, dove ospita Sinéad O'Connor e canta le sue ballate melò e spesso autobiografiche.
«Quando scrivo canzoni cerco di ottenere un suono tra il riverberato e l'ovattato che descriva il mio mondo spirituale. La gente non ha bisogno di rumore, ma di input per pensare e al tempo stesso per rilassarsi». Ecco il segreto di Matthew Houck, in arte Phosphorescent, che con la sua band ha da poco pubblicato l'album minimale Muchacho (il sesto della sua discografia) seducendo un pubblico sempre più vasto con brani ottimamente arrangiati come Song For Zula, con pagine acustiche come Days of Heaven, con virate elettriche ma lente e meditate come We'll Be Here Soon e The Quotidian Beasts. Anche il suo percorso sonoro è in continua evoluzione e passa da dischi dedicati al rock classico a tributi al re del country Willie Nelson.
Sono duri, durissimi i newyorchesi post punk The Men, le cui influenze spaziano dai Velvet Underground ai Buzzcocks ma il cui suono è «tagliato» da forti influenze country (come dimostrano brani come High and Lonesome e persino sperimentazioni strumentali sulle orme di Marc Ribot e Bill Frisell (chitarristi jazz che sanno come stravolgere il country) in piccoli capolavori come Country Song.
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