Ora la differenza si nota ancora di più. La differenza tra chi ha trascorso gli ultimi trent'anni a riempire stadi e classifiche di tutto il mondo e chi cerca beat per musica volatile chiuso nella propria cameretta. Dave Grohl è nella prima categoria. Rock, quello vero. Suonato a tutti i costi. È sopravvissuto all'autodistruzione dei Nirvana (dove suonava la batteria) grazie al carattere che ha dimostrato anche l'altra sera presentando il nuovo disco dei suoi Foo Fighters: rilassato, divertente, consapevole. «Scusate, forse parlo un po' troppo». Appena, appena. In ogni caso è quasi strano ascoltare oggi le canzoni di Medicine at midnight perché suonano compatte, potenti e totalmente diverse da ciò che abitualmente riempie le playlist. Intanto perché sono suonate per davvero e non con un tablet. E poi perché discendono dall'hard rock e dal grunge, sono insomma chitarra basso batteria e una voce (quella di Dave Grohl) capace di passare senza troppi imbarazzi dai toni soffusi di Chasing birds al riff americanissimo di Making a fire. «Una domanda mi fa parlare per venti minuti, non mi fermo mai», scherza dalla sua casa di Los Angeles.
Allora il rock non è morto?
«Da almeno dieci anni tutti se lo chiedono. A me sembra proprio di no. Almeno a me non sembra morto quando sento decine di migliaia di ragazzi che cantano una nostra canzone (lui cita My Hero, ndr) in uno stadio».
Se non è morto, chi lo tiene in vita?
«Ad esempio Billie Eilish».
Lei è davvero rock?
«So che per molti non è così. Però non è una questione di suoni o di arrangiamenti, ma di cultura e di attitudine. Lei ha creato una connessione con una grande quantità di persone che si sente rappresentata da lei. Questo per me è uno dei significati di rock. Anche Miley Cyrus che si presenta con una chitarra elettrica come Joan Jett negli anni '80 è rock. E così pure Phoebe Bridges che sfascia una chitarra al Saturday Night Live. Perciò mi chiedo se il rock sia davvero morto oppure se rinasca ogni volta dalla sua tomba come uno zombie».
Il nuovo disco si intitola Medicine at midnight. Siamo in un'epoca di medicine, purtroppo. Ma perché midnight, ossia mezzanotte?
«Intanto l'idea di medicina è collegata a quella di guarigione. Mezzanotte rappresenta l'urgenza irresistibile di qualcosa».
Il rock è una medicina?
«Si evolve ma vedo giovani band che lo usano bene».
Però niente concerti. Come sono quelli in streaming?
«La prima volta che abbiamo fatto un concerto via internet ho pensato che fosse sbagliato. Tra me e me dicevo: c'è qualcosa che non va. Suonare in una stanza vuota, senza pubblico, senza interazione ma soltanto con i tuoi roadie, i tuoi assistenti che in quel momento ti odiano... Poi però mi sono divertito e ho capito che la cosa importante è intrattenere il pubblico, in qualsiasi modo sia possibile farlo».
Ma si tornerà a suonare dal vivo?
«Non so quando, non so come, ma so che sarà per forza così. Trovarsi insieme a cantare e ballare è parte della natura umana. E so che ogni giorno siamo più vicini a quel momento. In ogni caso, quando si potrà, noi ci saremo. Anche perché...».
Anche perché?
«Abbiamo iniziato a registrare questo disco due anni fa pensando che sarebbe stato il nostro decimo disco e che avrebbe celebrato 25 anni di carriera. E avremmo voluto festeggiare per due anni con concerti in giro per il mondo. Ma poi è successo quello che è successo e lo abbiamo rinviato. A un certo punto abbiamo realizzato che non c'era un momento giusto per pubblicare Medicine at midnight e quindi abbiamo deciso di non aspettare più e di pubblicarlo adesso».
Waiting on a war ricorda la guerra fredda anni '80.
«Quel tempo è passato ma gli Stati Uniti sono comunque un Paese profondamente diviso. E chiunque dica che non si aspettasse gli episodi del 6 gennaio (l'attacco a Capitol Hill, ndr) sta mentendo. Ma credo che il futuro sarà migliore».
I Foo Fighters sono una band politica?
«Assolutamente no. Mio padre scriveva discorsi per i repubblicani. Ma noi non siamo politici. Siamo amici che suonano».
E i Nirvana?
«Avevamo due tipi di show. O erano esperienze fenomenali oppure schifosi disastri. Anche la sera in cui abbiamo registrato l'Unplugged per Mtv non sapevamo che cosa sarebbe potuto accadere. Kurt Cobain aveva scelto i pezzi, siamo andati in scena e tutto è andato bene».
Ma non c'era l'inno Smells like teen spirit.
«Troppo ovvio suonarla. E poi in versione acustica non sarebbe venuta granché...».
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