Il volto sgualcito dalle rughe, le occhiaie appesantite sotto lo sguardo stanco. Chi ricorda la sfolgorante bellezza dell'adolescente Kim Rossi Stuart in Fantaghirò, rimarrà intrigato dal fascino che gli anni (47), e il talento, hanno maturato nell'espressività del quarantasettenne attore romano. Che celebra il suo gran ritorno in tv dopo tredici anni d'assenza (ultime apparizioni: La Uno bianca e Il tunnel della libertà) con una fiction ideale, a metterne in risalto le intensità interpretative: Maltese-Il romanzo del commissario, quattro puntate in onda da lunedì su Raiuno.
«Di solito ci metto tanto fino alla noia, prima di accettare un ruolo racconta Kim -. Stavolta, quando ho saputo che il soggetto era sulla linea stilistica della storica Piovra, e che il produttore (Carlo Degli Esposti) era lo stesso di quel capolavoro, ho deciso dopo sole due ore».
Cosa lega, allora, lo storico commissario Cattani di Michele Placido al nuovo commissario Maltese?
«Entrambi uomini tormentati, entrambi hanno scelto di occupare i pochi posti disponibili nella lotta al male. Anche a costo della vita. Maltese è un uomo solo. E irrisolto. Tornato nella natia Trapani per il matrimonio di un amico (la storia è ambientata nel 1976) decide di rimanervi dopo che l'amico viene assassinato. Maltese è una storia inventata, ma ispirata a quelle autentiche di tanti servitori dello Stato, caduti in difesa del bene pubblico. In un mix di melò, storia di mafia, storia d'impegno civile».
Si dice che questo personaggio sia ispirato a Ninni Cassarà, poliziotto ucciso da Cosa Nostra nel 1985.
«E' così. Le assonanze sono evidenti: tutti e due uomini colti, capaci di sofisticati ragionamenti, pronti al sacrificio. Un esempio così alto e commovente che riviverlo è stato per me come fare un percorso liturgico; quasi sacro. E poi ho colto suggestioni diverse, irrazionali, cose da attori. Il sorriso di Falcone in certe sue foto. La sigaretta fra le labbra di Borsellino. Quel sorriso, quella sigaretta, raccontano molto di quei due eroi».
Perché è rimasto così a lungo lontano dalla tv? E perché ci è tornato?
«Le mie regie cinematografiche sono stati impegni totalizzanti, per anni. Poi mi sono reso conto che la fiction televisiva, anche quella generalista, è molto cambiata, anche rispetto a due, tre anni fa. Ora scandaglia problemi sociali e tematiche civili con una forza che nemmeno il cinema si permette più».
Per un attore il personaggio del poliziotto ha la stessa dignità di un Amleto?
«Certamente si. Dipende tutto che uso ne fa l'attore. Se è ben scritto, e se l'attore è capace, qualsiasi ruolo può essere caricato di profondità e significato. Ne ho avuto l'ulteriore riprova proprio con Maltese. Dopo anni di sfacchinate al cinema ora mi prendo un po' di riposo girando una fiction, pensai accettando il progetto. E' risaputo: le fiction sono ritenute soggetti più superficiali, meno impegnativi. E invece mi sono reso conto di avere fra le mani un personaggio vero».
Pur disponendo di tutti i requisiti per permettersi una facile carriera da «bellone», lei fin dall'inizio ha fatto scelte diverse, puntate sull'impegno professionale e la crescita personale, piuttosto che sul fascino.
«Capii da subito che questo lavoro mi avrebbe accompagnato per tutta la vita. Ho voluto dargli un senso fin dall'inizio. Ho cercato di fare in modo che interpretasse una funzione sociale, una utilità etica. Le rarissime volte che ho girato un film, o una fiction, solo per usare la mia bellezza, sono stato così male che non ci ho riprovato più».
E quando le propongono ancor oggi ruoli da bello?
«Preferisco ruoli da buono. Nel senso che abbiano un valore etico.
Anche i personaggi cattivi, perfino il Freddo di Romanzo criminale, possono consentirti quel tipo di discorso. Come diceva Solgenitsin, è molto facile par parte nella cultura del male. Più difficile, e interessante, è scoprire il bene».
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