Cultura e Spettacoli

Sangue, insulti, risate. Ecco il "film" dell'orrore di Piazzale Loreto

Uno scioccante e in parte inedito dossier fotografico nel libro di Garibaldi e Moriconi

Sangue, insulti, risate. Ecco il "film" dell'orrore di Piazzale Loreto

«Voi italiani esto brava gente», dice il partigiano russo al colonello Sermonti nel film del 1965. Sarà. L'attuale buonismo cattocomunista confermerebbe l'immagine, ma la verità è che abbiamo il Peccato originale pure noi. Come tutti. L'intellettuale romeno Mircea Eliade, viste le foto di piazzale Loreto, ci qualificò di «servi» e «traditori». Non aveva visto la fotina pubblicata poco tempo fa su queste stesse colonne a corredo di un articolo di Matteo Sacchi sulla «pista americana». Data 28 aprile 1945 e mostra gli abitanti del borgo di Azzano in posa, sorridenti, donne e bambini compresi, accanto alla larga macchia di sangue che colava dal camion pieno di cadaveri di fascisti crivellati. Cioè, quelli ammazzati a Dongo con Mussolini e la Petacci. Quando i corpi furono portati a Milano e appesi per i piedi alla pompa di benzina di Piazzale Loreto, qualcuno aveva già provveduto a togliere le mutande alla Petacci, così che lo spettacolo risultasse più suggestivo. Fu un prete, don Giuseppe Pollarolo, a fermare pietosamente con una spilla di sicurezza la gonna di Claretta, interrompendo lo strip-show. Un teatrino tra lo splatter e il burlesque che fece schifo perfino all'antifascista e capo partigiano Ferruccio Parri, il quale coniò il celebre termine «macelleria messicana». Indro Montanelli, invece, ebbe a dire che se lui fosse stato messicano avrebbe rigettato tale definizione. Lui l'aveva vista, quell'expo milanese, con gente che sputava sui morti e ci orinava sopra. E aggiunse, molti anni dopo, di ancora vergognarsi di «appartenere a gente capace di simili infamie». Cioè, italiani.

Perché quella, disse, «fu una classica giustizia di piazza italiana». Fu un altro prete, il Beato cardinale arcivescovo di Milano, Ildefonso Schuster, a intervenire affinché quei quarti di carne appesi fossero tolti alla vista. Dovette insistere più volte, arrivando a minacciare di farlo di persona, ma solo con gli Alleati (stranieri) riuscì nel suo intento di pietà cristiana. Due giornalisti, Luciano Garibaldi e Emma Moriconi, rievocano l'episodio in un libro pieno di foto e particolari inediti o poco noti, Mussolini. Sangue a Piazzale Loreto (Herald Editore, pagg. 200, euro 18). Perché proprio là? La storia è risaputa. In quel luogo un vecchio graduato tedesco veniva con un furgoncino a distribuire latte alle mamme milanesi, nonché farina e qualcosa da mangiare a gente che stringeva la cinghia da ormai troppo tempo. Lo chiamavano «il Carlùn» e i rifocillati avevano avuto l'umanissimo torto di affezionarsi a quel pacioccone che strideva con l'immagine dell'occupante straniero e spietato. Così, l'8 agosto 1944 una bomba stile via Rasella mandò all'altro mondo lui, il latte e tutti quelli che in quel momento si affollavano attorno al suo furgone. Theodor Saewecke, colonnello della Gestapo, andò in bestia e pretese l'applicazione della rappresaglia decimale: quindici morti, centocinquanta fucilati. Mussolini stesso fece pressioni su Hitler e questi consentì a ridurre la proporzione alla scala 1:1.

Due giorni dopo, nel medesimo piazzale, 15 partigiani vennero passati per le armi dagli uomini della Brigata Muti. Ma il Cln Alta Italia se la legò al dito. Preso e sparato Mussolini, 15 gerarchi dovevano accompagnarlo nel Walhalla, in ricordo dei 15 di Piazzale Loreto. E vendetta fu fatta, come sappiamo, il 29 aprile 1945. Solo che dei «quindici gerarchi» solo alcuni erano gerarchi. Uno, per esempio, era un aviatore, il capitano Pietro Calistri, a cui era stato dato uno strappo sul camion dell'ex Duce. E poi c'erano il fratello di Claretta, Marcello, nonché l'ormai pensionato Achille Starace. I due autori del libro hanno voluto riportare all'inizio un brano in reverente memoria di tutti i caduti della guerra civile, sia quelli della Resistenza che quelli della Rsi. Auspicando una «vera e necessaria» riconciliazione nazionale. Dopo 71 anni buonsenso vorrebbe che fosse il caso, finalmente. Neanche i nostalgici di Napoleone resistettero tanto. Ma non in Italia. Qui ci vuole un braccio di ferro istituzionale per impedire che, ancora nel 2016, vengano assegnate medaglie d'oro a responsabili di stragi inutili e perpetrate su inermi a guerra finita. Italiani, brava gente.

Peccato che sia dai tempi di Romolo e Remo che si scannano tra loro.

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