In fondo Justin Timberlake funziona meglio di una multinazionale. Diversifica, lui diversifica. Ha avuto un successo stratosferico con gli N'Sync a metà anni Novanta. Poi ha debuttato come solista, rivelandosi ancor meglio. Ed è poi diventato attore, recitando oltretutto in Alpha dog di Nick Cassavetes, doppiando Bubu nell'Orso Yoghi e celebrandosi in The social network del 2010, che, essendo incentrato su Facebook, in qualche modo è la santificazione del tipo di popstar che Justin Timberlake incarna, ossia «passaparolabile», bello ma non troppo, abbastanza talentuoso, molto chic e mostruosamente paparazzabile visto che, da Britney Spears a Cameron Diaz, ha calamitato ogni bendidio per i rotocalchi. In più, l'anno scorso si è sposato quasi di nascosto, per di più qui in Italia a Savelletri in Puglia, con un'altra aspirante superdiva hollywoodiana, Jessica Biel. Perciò bingo. Per non farsi mancare nulla, ha collaborato con i Duran Duran in Red carpet massacre (segmento di pubblico ultraquarantenne), ha prodotto con il meraviglioso Timbaland 4 minutes di Madonna (segmento ultrapop) e si è persino esibito con i Rolling Stones al Toronto Rocks nel 2003 (segmento ultrarock). Nel frattempo ha vinto sei Grammy Awards e tre Brit Awards tanto per gradire. Trasversale, quindi. E quando via Twitter ha annunciato che finalmente, quasi sette anni dopo il vendutissimo Future Sex/ Love Sounds, avrebbe pubblicato un nuovo disco, figuratevi l'entusiasmo perché c'è bisogno di personaggi come lui, tutto sommato rassicuranti, coraggiosi ma non troppo, dignitosamente pop, in fondo. E in effetti questo The 20/20 Experience, che esce oggi su Sony, ha tutti i carati per soddisfare le attese. Lui canta come si deve. E come uno che non ha la sporcizia interpretativa che ti regala l'abitudine a stare sul palco, magari dentro a uno stadio. È «pulito», quasi candido anche nel brano inziale Pusher love girl che magari avrebbe richiesto appena più malizia. Forse lui non ce l'ha proprio, visto che da teen pop idol è diventato mainstream Hollywood star e non ha mai attraversato quella fase creativa e magari sofferente di chi vaga in cerca di collocazione artistica. Justin Timberlake è nato divo. Un bene, per carità. Lo ha dimostrato anche l'altra sera al Jimmy Fallon Show quando ha concentrato in pochi minuti la storia del rap cantando (con l'appoggio della house band, ossia i Roots) brani decisivi come Peter piper dei Run DMC, My name is di Eminem, The message di Grandmaster Flash o persino il pateracchio ultramainstream Ice ice baby di Vanilla Ice.
Un piccolo gioiello. A dimostrazione che questo ragazzo classe 1981 ha il suo perché. E che se il pop rimane al centro dell'attenzione una parte del merito è anche di cantanti così. Inattaccabili, a meno che non si sia troppo snob.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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