Nel Codice da Vinci di Dan Brown il mistero ruota intorno all'epurazione del «femminino sacro», l'elemento femminile, dalla vita di Gesù e dalla religione. In un'opera ben più muscolosa, Il nome della rosa, il movente dei delitti era nascondere al mondo il secondo libro della Poetica di Aristotele, sulla Commedia, ritenuta una pratica vacua e disdicevole: risus abundat in ore stultorum. Quando abbiamo studiato l'Iliade a scuola, si insisteva sull'ira funesta di Achille, che abbandonò per Briseide, e ci sta, ma poi il suo ritorno per vendicare la morte di Patroclo veniva liquidato come affetto tra cugini: non era esattamente così. Questi esempi e molti altri testimoniano come la cultura abbia dovuto sempre fronteggiare l'assalto del potere, che per convenienza tende ad enfatizzare le opere che gli lisciano il pelo e a minimizzare le altre. Con degli eccessi, tipo la notte di maggio del 1933 quando il nazismo bruciò oltre 20.000 volumi. Evidentemente, nessuna cultura gli lisciava il pelo, ponendosi esso stesso come «cervello all'ammasso», la negazione del pensiero, che è poi la cifra di ogni dittatura. È questa la chiave di lettura della notizia, rimbalzata in questi giorni, che Oxford, forse l'ateneo più prestigioso al mondo, abbia deciso di attenuare l'insegnamento di alcuni classici, Omero e Virgilio, per bilanciare i contenuti giudicati troppo bianchi, maschili ed europei. Non si tratta di un'iniziativa culturale, a favore di qualche segmento, ma di un attacco del potere verso la cultura stessa. Vogliono epurare la cultura occidentale da se stessa. È stata una cultura sessista? Sicuramente. L'omosessualità è stata sempre celata? Certo. È stata una cultura discriminatoria ed esclusiva? Assolutamente. È stata una cultura conflittuale verso le altre culture e religioni? Ovvio che sì. Ma è quello che eravamo e quello che abbiamo espresso nell'arte. Epurare l'arte è il passaggio che precede l'epurazione della Storia. Non deve sorprendere che l'attacco venga dall'università. Già Stanford si era mossa negli anni '80, poi seguita recentemente dalla Columbia e adesso da Yale. Piuttosto, è indicativo che gli americani siano stati più veloci. Sulla cultura, gli americani? No, no, sul business. Non è un mistero che una quota sempre maggiore delle rette universitarie sia pagata da studenti asiatici e mediorientali. Allora, quale idea migliore di mitigare e bilanciare la cultura occidentale, ove mai dovessero non riconoscervisi? Deve essere stato più o meno il ragionamento che portò i dirigenti dei Musei Capitolini, campioni di autocensura, a coprire le statue per la visita del leader iraniano Rohani. Oxford, Columbia, Stanford.
Questi non sono insigni accademici, sono solo dei poveracci, ideologici e analfabeti, che non hanno nemmeno il diritto di custodire e tramandare quella cultura che vorrebbero censurare. Noi dobbiamo andare avanti, non restaurare il passato secondo il gusto del momento, come se la cultura fosse un appartamento in città.
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