È ora d'evocare il Mago il Rimini, scomparso vent'anni fa ma non dal cuore di chi lo conosceva bene. Come Ettore Scola, oggi sul set di Che strano chiamarsi Federico. Scola racconta Fellini, suo omaggio - da Maestro a Maestro - all'amico, al regista e al caricaturista del Marc'Aurelio. Ne verrà fuori «né un film, né un documentario», spiega Scola, accompagnato dalle figlie Paola e Silvia, con lui sceneggiatrici di questa produzione Paypermoon, Palomar, Istituto Luce-Cinecittà con Rai Cinema e Cinecittà Studios, in collaborazione con Cubovision: forse in passerella alla Mostra del Cinema di Venezia e in autunno nelle sale con Bim.
Al Teatro 5 di Cinecittà, una seconda dimora per Fellini, ecco una casa di bambola (visitabile fino al 23) fatta di vari ambienti, che riassumono l'atmosfera del Marc'Aurelio, fucina di talenti dove, nei primi '50, Scola e Fellini si conobbero: la scrivania in radica di noce dove Maccari e Metz depositavano testi e vignette e gli schedari con gli onorari da corrispondere a Campanile e Marchesi, poi, sullo sfondo,il «Caffè Giardino» con l'insegna dell'Amaro Alpino e la Lincoln nera di F.F., «un grande Pinocchio che, per fortuna, non divenne mai un bambino perbene», osserva Scola. Il quale del burattino ammira «la grandezza e la piccola cattiveria, adorabili ed esecrabili tratti italiani». Sarà la storia di un'amicizia che si snoda dal 1939, quando F.F. debuttò come disegnatore, al 1993, anno del suo settantesimo e ultimo compleanno.
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