Sergio Mendes rinasce. "Aggiungo poesia alla musica brasileira"

Nel disco Magic mescola bossanova a jazz e hip hop. "Il rock? Non lo conosco. Come Sinatra, vengo da un altro mondo"

Sergio Mendes rinasce. "Aggiungo poesia alla musica brasileira"

È artista cosmopolita, innamorato del mondo ma soprattutto del suo Brasile di cui è uno degli ambasciatori musicali più blasonati. Sergio Mendes è il musicista brasiliano di maggior successo di tutti i tempi; sarà per la sua contagiosa esuberanza, sarà per quel tocco ora jazz ora pop (e oggi funk e hip hop) con cui mixa la bossa nova che trasforma in oro tutto ciò che tocca. Un tocco magico, come Magic è il titolo del suo nuovo disco ricco di trovate, di contaminazioni e di ospiti. «La bossa nova è una magia, una segreta alchimia di suoni che viene da lontano. Il samba viene dall'Africa, quando i portoghesi arrivarono da noi con gli schiavi dal Mozambico e dall'Angola e le prime chitarre. Da lì è nato il nostro senso del ritmo. Con gli schiavi è accaduta la stessa cosa in Nord America con il blues e il jazz». Magic però è un album allegro e pieno di speranza, che si apre con One Nation, brano irresistibile, già una hit internazionale, dedicato ai Campionati Mondiali di calcio. «Il Brasile vive di calcio e i Mondiali sono una grande opportunità per il mio Paese. Ho voluto scrivere un brano che esprimesse la gioia e i sentimenti del mio popolo per un evento così importante». Senza tradire la tradizione, come ha fatto in Timeless (2006) dove ha ospitato artisti come Stevie Wonder, Black Eyed Peas, Justin Timberlake, anche questa volta Mendes si concede fughe nei territori del rap o del funk in brani come My My My My Love, scritta con will a.m. o in ballate avvolgenti come Don't Say Goodbye in coppia con John Legend. «will a.m. è un mio fan da oltre dieci anni, è un musicista rap con cui ho un ottimo feeling, è curioso, immaginifico, fresco e insieme abbiamo costruito un bel samba funk». Nel disco però ci sono anche i nuovi alfieri della musica brasiliana. «Ho coinvolto i migliori artisti delle nuove generazioni; Seu Jorge, Maria Gadu, Ana Carolina accanto a vecchi amici come Milton Nascimento e Carlinhos Brown che ormai è un grande».

Mendes non ha nessuna nostalgia del passato ma ricorda con orgoglio la sua storia. «Ho una lunga storia che parla per me. La gente ha ancora nel cuore ancora Mas que nada, il primo pezzo in portoghese a riscuotere successo internazionale, non a caso bissato quarant'anni dopo. Non dimentico le mie origini e nell'album ho dedicato un brano al mio primo maestro, Moacir Santos e a Nyterboy, la città vicino a Rio dove sono nato e dove ho imparato a giocare al pallone e a suonare il piano». Cita gli anni d'oro coi Brazil '66, le sue radici che profumano di jazz. Se gli chiedi del rock, risponde divertito: «Non lo conosco, non fa parte della mia formazione, sono cresciuto con samba, bossa nova, jazz e tanta musica italiana degli anni '50 e '60 ascoltata alla radio, tipo le canzoni di Peppino Di Capri. Nel 1962 ero già a New York a suonare con Cannonball Adderley; andai ad ascoltarlo al Birdland e mi chiese di lavorare con lui. Nel '68 suonai con Frank Sinatra e da allora diventammo amici, era una persona speciale e anche lui non amava il rock'n'roll. I miei cantanti preferiti sono Frank, Nat King Cole e Ray Charles mentre tra le donne amo Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald e Billie Holiday. Ah, e mia moglie Gracinha Leporace, che canta con me da sempre, se non la cito mi ammazza, sa è di origine calabrese». E Mendes se ne intende di musica italiana, come testimoniano le recenti collaborazioni con Jovanotti. «È un artista col ritmo nel sangue, mi avevano detto che era un rapper ma scrive delle melodie stupende, è divertente e imprevedibile lavorare con lui. Poi amo la voce di Zucchero, le musiche di Ennio Morricone e quelle di Nino Rota, soprattutto quelle per i film di Fellini: impossibile scindere quella coppia».

Perfettamente al passo con i tempi (anche troppo perché a tratti le sue canzoni sono assai commerciali) Sergio Mendes critica la musica

moderna: «Abbiamo perso il senso della melodia, non ci sono più penne del calibro di Cole Porter, Irving Berlin o Henry Mancini, i ragazzi oggi amano ballare e conta solo il ritmo. Io cerco di mettere insieme entrambe le cose».

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