"Solo la grande letteratura può vincere le ideologie"

Lo scrittore cinese premio Nobel è in Italia: «Nel mio Paese ero censurato perché al di fuori del pensiero unico»

"Solo la grande letteratura può vincere le ideologie"

Gao Xingjian è nato a Ganzhou nel 1940 e ha lasciato la Cina nel 1987. Da trent'anni vive in esilio a Parigi. È per questo che, quando ha ricevuto (primo cinese) il Nobel per la letteratura nel 2000, il riconoscimento fu una «sfida» a Pechino. Che tuttora censura le sue opere, fra cui La montagna dell'anima (Rizzoli), il suo capolavoro tradotto e letto in tutto il mondo, tranne che a casa sua. Oggi Gao è al festival Collisioni, a Barolo, per parlare di letteratura, libertà, e del suo lavoro di scrittore.

Gao Xingjian, si dice che lei viva un po' da «eremita». E anche che lavori senza sosta.

«Sì, vivo a Parigi ormai da trent'anni. E lavoro senza sosta. Ogni anno mi dico: La prossima estate vado in vacanza, ma sono trent'anni che non vado in vacanza. I francesi hanno la famosa settimana di 35 ore e il weekend lungo: io no, niente weekend. Questo perché ho troppi progetti, troppe cose da fare: mi occupo di teatro, di cinema, di pittura, di poesia. Devo concentrarmi anche sul mio pensiero: da qualche anno scrivo saggi, ho realizzato cinque raccolte. Ho davvero tanto da fare».

L'isolamento è legato alla sua attività artistica?

«Tendo a evitare gli incontri mondani, preferisco prendermi il mio tempo per fare tutto. Per un creatore, uno scrittore, è necessario lavorare nella calma».

Scrive anche in francese o solo in cinese?

«Mi considero un parigino. Ho scritto in cinese ma anche in francese: cinque pièce teatrali direttamente in francese, oltre ad alcune poesie e testi per il cinema. Lavoro quindi in entrambe le lingue».

Quale è la differenza fra lingua cinese e lingue occidentali nell'uso letterario?

«È una profonda divergenza in termini di struttura: il cinese è completamente diverso, basti pensare che la nozione di grammatica non esiste. Scrivo in entrambe le lingue, come dicevo, e dopo tanto tempo non passo più per la traduzione nella mia testa: se scrivo in francese è direttamente in francese, lo stesso per il cinese. Se scrivo delle opere teatrali in francese, nel momento in cui voglio trasporle in cinese non mi limito a tradurle, ma le riscrivo. È il mio lavoro».

Pensa che ogni scrittore debba avere la «sua» lingua?

«Lo scrittore deve forgiare un linguaggio. È una vera e propria nuova creazione della lingua ed è essenziale per la letteratura. Ogni modo di esprimersi e ogni stile devono essere autentici e particolari, per tradurre le sensazioni e la prospettiva sulle cose. È per questo che la creazione letteraria passa sempre per una ricerca: altrimenti è semplice ripetizione».

È quello che ha fatto nel suo La montagna dell'anima?

«Ho cercato uno stile specifico e un modo di narrare diverso: non ci sono personaggi normali e la trama solita. Ci sono solo dei pronomi. Io, tu, lui, lei. Ho impiegato sette anni a scrivere questo romanzo: un grande sforzo di ricerca, anche e soprattutto sulla lingua».

Che ruolo ha la spiritualità?

«Nei giorni nostri, la spiritualità è stata un po' accantonata. È stata circoscritta all'ambito religioso, ma non è così. Penso che in tutta la grande letteratura si possa trovare spiritualità, perché la grande letteratura riesce a trascendere la vita quotidiana: è una sublimazione che risveglia le coscienze, supera gli interessi concreti e i problemi terreni».

Perché ha detto che la letteratura è contro tutti gli «ismi»?

«Dalla fine del XIX secolo sono comparse grandi ideologie: prima il marxismo e poi il nazionalismo, il populismo, il fascismo. Ancora oggi le ideologie ci circondano. Nella nostra epoca c'è una egemonia del politicamente corretto, che è poi espressione di una certa ideologia. Questo ha condizionato molto la mentalità del mondo».

E la letteratura?

«Se torniamo alla grande letteratura non troviamo ismi. Ci troviamo invece a fondo nella condizione dell'esistenza e della natura umane, senza passare per un'interpretazione ideologica o una dottrina legata a interessi politici. Se vogliamo confrontarci con una letteratura davvero seria dobbiamo superare e liberarci di ogni forma di ideologia».

Perché è stato censurato?

«Ho sempre cercato di uscire dal seminato dell'ideologia e del politicamente corretto e quindi, sebbene non scriva di politica, in Cina sono stato, e sono, censurato. Ancora oggi».

Si era mai autocensurato?

«Quando ero in Cina ho dovuto fare dell'autocensura per non sollevare problemi su argomenti troppo sensibili. E comunque sono stato censurato. Ecco perché mi sono detto: se continuerò a scrivere non dovrò più limitarmi, dovrò fregarmene della censura; poco importa se non mi pubblicheranno, ho il mio pensiero e voglio dire delle cose. Questa è la necessità della letteratura, della scrittura vera».

Che cosa è cambiato?

«Non mi sono più curato di alcun tipo di censura, inclusa l'autocensura. Da allora ho cominciato a scrivere La montagna dell'anima in Cina: era il 1982 e le mie opere teatrali erano già state censurate. Volevo scrivere un libro per me stesso, senza preoccuparmi della pubblicazione. Ho poi finito il libro a Parigi e ora è tradotto in tutto il mondo. La scrittura indipendente è potente».

Censura e autocensura esistono oggi anche in Europa?

«Sì, dipende. Ufficialmente il pensiero è libero, ma quando ci si esprime ci sono delle limitazioni imposte dal politicamente corretto. È una forma di censura invisibile: è insita già nel pensiero dell'autore o dell'artista, non viene esercitata ex post. In un certo senso è autocensura. La politica influenza gli scrittori anche ai giorni nostri, perché ci sono mille tipi di partiti politici e dunque altrettanti tipi di politicamente corretto, di destra e di sinistra. Se lo scrittore aderisce a un certo pensiero politico, automaticamente limita il suo. La grande letteratura deve andare oltre l'impegno politico, dietro il quale si cela sempre un'ideologia, anche in Occidente».

Che cosa è la libertà per lei?

«Nell'antichità la letteratura non era un mestiere, un mezzo per sbarcare il lunario. La scrittura è una creazione assolutamente personale e indipendente: le opere che sopravvivono al tempo e rimangono attuali e lette sono opere libere. Non solo nell'antichità, ma anche oggi e in futuro. Senza libertà non c'è grande letteratura».

Fra gli anni '60 e '70, nel suo Paese è stato mandato a lavorare nei campi. È stato costretto a bruciare i suoi manoscritti, e scriveva di nascosto.

«Ci sono stati momenti in cui non si era in condizione di scrivere, neanche di nascosto. Non era proprio un campo: era piuttosto una comunità in cui si lavorava la terra e si viveva in collettività, senza spazi personali e dunque, praticamente, senza nessuna possibilità di intimità e di scrivere. Quando ero coi contadini e ne avevo occasione, per potermi dire che ero ancora vivo, che avevo ancora un mio pensiero, mi mettevo a scrivere di nascosto».

Perché?

«In quel caso la scrittura era diventata una necessità. Ancora oggi, se non scrivo non mi sento vivo: ho sempre qualcosa da dire, ho sempre delle riflessioni nuove e dei pensieri freschi ogni giorno. A volte confluiscono in un saggio, altre volte in un'opera teatrale, oppure in romanzi e in poesie. All'epoca, anche in condizioni estreme cercavo di scrivere di nascosto: non pensavo certo a essere pubblicato».

Com'è stata la sua infanzia? Che cosa l'ha influenzata, soprattutto negli anni prima della rivoluzione del '49?

«Sono cresciuto in una famiglia molto libera. Mio padre era appassionato di letteratura classica cinese, mia madre aveva ricevuto un'educazione missionaria e si è sempre interessata alla letteratura e al teatro occidentale».

Era un'attrice.

«Recitava in un gruppo teatrale amatoriale durante la guerra sino-giapponese: era un teatro di resistenza. Da piccolo, quando nel copione serviva un bambino, salivo sul palco con lei. Fin dall'infanzia ho avuto la fortuna di avere accesso ai libri e all'arte dei miei genitori. Quando sono andato al liceo e all'università ho potuto leggere le traduzioni dei grandi capolavori occidentali e diventare un grande conoscitore di entrambe le culture, cinese e occidentale».

Il Nobel ha cambiato la sua vita?

«Sì e no».

Sì...?

«Perché immediatamente ha sconquassato la mia esistenza. I media mi hanno bombardato, ho iniziato a ricevere un numero incredibile di inviti e a viaggiare tantissimo. Due anni dopo mi sono ammalato: ho dovuto subire due operazioni. Fortunatamente ne sono uscito, ma ho dovuto rallentare molto».

E oggi?

«È stato un riconoscimento importante per i miei scritti, anche presso il grande pubblico: mi ha aiutato in tutte le attività, anche per i miei lavori di cinema, pittura, poesia.

Ho la grande fortuna di poter realizzare i miei progetti, ma devo rifiutare tanti inviti per potere lavorare bene. È difficile dire di no. Bisogna sapersi ritirare, sia per l'età, sia se si vuole davvero creare qualcosa di nuovo. È essenziale per la creazione letteraria».

(Traduzione di Greta Messori)

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