Tornatore: "Sono di bocca buona Amo tutti i film e odio le stroncature"

Il regista Giuseppe Tornatore si racconta dopo le tredici candidature al David di Donatello per "La migliore offerta"

Tornatore: "Sono di bocca buona Amo tutti i film e odio le stroncature"

Caro Tornatore, mica male tredici candidature al David per La migliore offerta.
«Sì, sono molto contento».

Anche se l'Oscar per Nuovo Cinema Paradiso è un'altra cosa.
«Certo, l'Oscar è il massimo, però la soddisfazione è la stessa».

Che rischio però quel titolo: se il film fosse andato male, l'avrebbero subito ribattezzato in negativo.
«Vero, anche se non sarebbe stata la prima bocciatura».

Qual è stata la più pesante?
«Le maggiori stroncature le ha avute Una pura formalità. Soprattutto in Francia».

Eppure lei è uno dei pochi registi italiani conosciuti all'estero.
«Questo non lo so, sicuramente non è un film facile».

Forse l'ha meditato troppo, lei che dice di covare le sue creature per anni.
«Invece con Una pura formalità è successo proprio il contrario. Sono stato folgorato dall'idea e l'ho scritto di getto».

Quindi meglio pensarci su, come fa d'abitudine. Difatti non è un mostro di velocità: undici film in ventisette anni. Solo Terrence Malick la batte, un film ogni sei anni e mezzo.
«Però ultimamente Malick si è messo a correre... La mia media biologica è un film ogni diciotto mesi».

Allora i conti non tornano...
«Sì e no, perché tra Maléna, che ho girato nel 2000, e La sconosciuta, sono passati sei anni».

Il film pensato più a lungo?
«Senza dubbio La migliore offerta. Il primissimo progetto è addirittura dell'84».

Forse un record. Ma quanti embrioni di film le frullano per la testa?
«Ah, un'infinità. Io faccio così: quando ho un'idea, la conservo. Se dopo un po', un mese o anche un anno, mi torna in mente, vuol dire che era buona e ci lavoro su. Se non riaffiora, non era valida».

C'è un film che non rifarebbe?
«No, li rifarei tutti. Però modificherei il mio terzo film Stanno tutti bene. I cinque figli che Mastroianni va a trovare, li ridurrei a quattro».

Guadagnando un quarto d'ora, a occhio e croce...
«Infatti quando tre anni fa mi ha telefonato il regista Kirk Jones per il remake con De Niro, mi ha chiesto “Che consiglio mi dai?”. E io gli ho suggerito soltanto di togliere un figlio. Cosa che lui ha poi fatto».

E le è piaciuto?
«A me i film piacciono tutti. Sono di bocca buona, uno che vede il bicchiere sempre mezzo pieno».

Caso rarissimo il suo...
«Non sopporto chi va al cinema solo per stroncare. Quell'inquadratura è sbagliata, il protagonista non va bene. Questo no, quest'altro no. Specie se sono critiche preconcette».

Qualche nome...
«Neanche per sogno».

C'è qualcosa di peggio?
«I ragazzi che guardano i film sul telefonino, magari ascoltando un'altra musica con le cuffie».

Il suo film della vita?
«Gli argonauti, non perché sia un capolavoro, ma è il primo film che ho visto da solo, a sette anni. E lo riguardo quasi tutti gli anni».

È il film che ha visto più

spesso?
«No, il primo è Tempi moderni, l'ho visto almeno trenta volte. Poi Salvatore Giuliano e Le mani sulla città, tutti e due una ventina di volte».

E i suoi film ogni quanto li rivede?
«Mai».

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