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Eva Longoria: "Sono stanca di essere sexy, faccio la contadina"

In "Frontera", Eva Longoria si è imbruttita per difendere i diritti delle minoranze

Eva Longoria: "Sono stanca di essere sexy, faccio la contadina"

Los Angeles - Anche Eva Longoria, texana di origine messicana, a Hollywood sta soffrendo la sindrome della «bona». «Se sei considerata bella non vieni presa sul serio. È stato sempre così, e continua a esserlo», afferma l'attrice, ora al cinema con il dramma sull'immigrazione Frontera . In questo film ha dovuto imbruttirsi, per farsi prendere sul serio. Ha messo su chili, s'è tinta di nero, ha marcato le occhiaie, ha un look sempre dimesso. Interpreta il personaggio di Paulina, contadina messicana che cerca di attraversare il confine, la frontera , appunto, tra Messico e Texas, alla ricerca del marito (Micheal Pena) e passa la maggior parte del tempo sudando nel deserto, con la polvere fra i capelli e sul volto.

La Longoria, 39 anni, sex-symbol e simbolo del fashion , ha anche una coscienza sociale. Divenuta famosa con la serie Desperate Housewives (era Gabrielle Solis, quella con il debole per i giardinieri), nota anche per le sue relazioni con l'asso del basket Tony Parker (sposi nel 2009, divorziati nel 2011) o il quarterback dei New York Jets, Mark Sanchez, il suo vero amore, a parte la recitazione, è la politica, quella sull'immigrazione, sui diritti delle donne, sull'emancipazione delle minoranze e la promozione del voto elettorale. Obamiana convinta, s'è data molto da fare per chiamare alle urne ispanici, latinos e soprattutto le donne. Ora è legata al boss dei media messicano José Antonio Baston. L'abbiamo incontrata a Los Angeles, dove vive.

Eva, in cosa si distingue Frontera dai tanti altri film «di frontiera»?

«Invece di demonizzare una o l'altra parte, come si fa spesso al cinema, questo film cerca di mostrare l'umanità e gli errori di entrambe le parti. Non pretendiamo di risolvere il dibattito sull'immigrazione, ci siamo limitati a raccontare una storia d'amore, e cosa la gente fa per amore, una storia in bilico sul confine tra due mondi così lontani e così vicini. La gente varca quel confine per amore dei figli. È l'amore che ci fa migrare, la speranza per un futuro migliore per loro, più che per noi».

Lei non è solo attrice e produttrice (sua è la serie tv Devious Maids ), ma anche globe-trotter sociale e portavoce di Obama. Dove trova il tempo per tutto ciò?

«Non mi fermo un attimo. Per me un giorno ha 48 ore. Vede, mia madre ha tirato su quattro figlie, delle quali una con bisogno di attenzioni speciali, mia sorella maggiore. Mamma insegnava a scuola, eppure ogni sera alle 6 c'era la cena in tavola pronta per tutti. E colazione la mattina alle 7. Guardo mia madre e mi dico: “Non sto facendo abbastanza”».

È cresciuta tra donne?

«Sì, donne forti e dominanti. C'è chi come modello di riferimento ha divi e celebrità: io ho mia madre e le mie zie. Una famiglia di origine messicana molto grande e unitissima, a Corpus Christi, in Texas».

Non a caso studia l'immigrazione messicana, i chicanos negli Usa...

«Negli anni '60 c'era un movimento molto forte per i diritti dei chicanos in questo Paese, si lottava per i contadini e soprattutto per un'educazione pubblica egalitaria. I messicani erano emarginati non meno dei neri. Il Messico non ha potere militare come gli Usa, ma ha un potere culturale superiore. Per questo la nostra cultura d'origine rimane così forte tra di noi, e ci tiene uniti. La cultura di un Paese vale più di ogni arma».

E il suo impegno per Obama?

«L'esperienza con Obama è stata incredibile: ho percorso l'America in lungo e in largo, parlando alla gente su ciò che davvero conta a livello economico, politico, sociale. Il mio compito era coinvolgere tutti gli aventi diritto al voto, assicurarmi che le idee di Obama venissero capite. Obama è il presidente di tutti gli americani, del 47% che ha bisogno di un minimo aiuto del governo e del 99% che si sbatte per sbarcare il lunario. Ora lo criticano perché non ha alzato la voce abbastanza, o lo ha fatto troppo tardi, sul problema Isis. Come Kennedy al tempo della crisi cubana, ha lavorato dietro le quinte per trovare una soluzione diplomatica e umanitaria al problema.

Non è questo lo statista che vorremmo tutti, invece del solito presidente dal grilletto facile?».

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