Da Cannes
È The Square, dello svedese Ruben Östlund, il vincitore della Palma d'oro di questa settantasettesima edizione del Festival di Cannes. Un riconoscimento giusto, che premia un film politicamente scorretto, una riflessione irridente sull'assurdità dell'arte contemporanea e sulle ipocrisie del «buonismo». A 120 battements par minute, di Robin Campillo, è andato il Gran Premio della Giuria, mentre quello per la miglior regia ha visto la vittoria di Sofia Coppola, con il suo The Beguiled. Altro vincitore, suo il Premio della Giuria, è stato Loveless, del russo Andrej Zvyaginstev, mentre la miglior sceneggiatura ha visto, ex equo, L'uccisione del cervo sacro, di Yorgos Lanthimos, e You were never really here, di Lynne Ramsay. Quest'ultimo film si porta dietro anche il premio come miglior attore per Joaquin Phoenix, mentre quello per la miglior attrice è andato a Diane Kruger, protagonista di In the Fade. Un Premio speciale per il 70° anniversario è andato a Nicole Kidman mentre la Camera d'oro è stato assegnato a Jeune Femme, di Léonore Serraille, in concorso al Certain Regard.
Madrina della cerimonia di chiusura è stata Monica Bellucci, che già aveva tenuto a battesimo l'apertura del Festival. Intorno a lei, la giuria presieduta da Pedro Almodòvar e che comprendeva il nostro Paolo Sorrentino. Archiviata la serata e i suoi premiati, in sede di bilancio complessivo, bisognerà però dire che i festeggiamenti, con annessa autocelebrazione per i settant'anni di una storia gloriosa e gran parata di registi palmati chiamati a raccolta per l'occasione, non sono bastati a evitare a questo festival la Palma d'oro per la peggiore edizione, da un quindicennio a questa parte. E la stessa polemica intorno alla incongrua presenza nella rassegna di due film Netflix, di per sé non visibili nelle sale cinematografiche, non è servita alla Mostra per un serio dibattito su quello che negli anni a venire sarà un problema non facilmente risolvibile. Gli studios hollywoodiani tradizionali soffriranno sempre più la concorrenza di giganti economici, Netflix, appunto, Amazon, con regole di distribuzione e di mercato diverse da quelle delle cinematografie classiche e Cannes.
Se si va poi ai criteri selettivi che hanno guidato questa edizione appena conclusasi, salta agli occhi che al solito eccesso di film francesi, girati, prodotti e coprodotti, non ha fatto riscontro la presenza di cinematografie straniere finora sempre presenti (India, Cina, l'intera America latina) e in grado di offrire temi e punti di vista diversi da quelli quest'anno in gara e fuori gara, fra loro ripetitivi. Altra assenza di peso si è rivelata quella americana, che finora aveva garantito al Festival un doppio ritorno d'immagine: fuori concorso gli effetti speciali, i cartoons, i blockbuster, e in concorso le grandi majors e il cinema indipendente, con il divismo sapientemente spalmato fra gli uni e gli altri. C'è chi sostiene che l'appuntamento di Cannes, oggi come oggi, non sia più appetibile per gli studios d'oltreoceano perché troppo lontano rispetto a quello degli Oscar, ma è una scusa che, se si guarda al passato, non tiene. Va invece detto che da alcune edizioni a questa parte è la mostra del Cinema di Venezia ad aver intercettato il meglio della produzione americana (Birdman, Il caso Spotlight, La La Land, La battaglia di Hacksaw Bridge), una concorrenza a cui Cannes non era più abituata.
Il 70° di Cannes ha inoltre rilevato ciò che già in passato era stato il suo tallone d'Achille: sempre più vetrina commerciale, mercato internazionale, con relativi compromessi e pressioni, e sempre meno rassegna del miglior cinema possibile e proiettabile. Inoltre, il primo elemento soffoca il secondo per il gigantismo che si porta dietro e che in tempi difficili, la minaccia del terrorismo, come quelli attuali, dà vita a un sorta di paralisi progressiva.
Un numero di accreditati sempre più grande, code sempre più lunghe e estenuanti per i controlli di sicurezza, proiezioni sempre più in ritardo, strutture sempre meno in grado di fronteggiare tutto questo.Settant'anni è un bel traguardo. Ma per una vecchiaia serena e degno di questo nome, è necessaria una cura dimagrante, un ritocco estetico e un bagno d'umiltà.
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