Spietato con Joyce, tenero con nessuno Lewis fu un esempio di indipendenza

Dalle riviste ai libri modernisti: il suo giudizio era spiazzante

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Davide Brullo

Si era rotto le balle di tutti, per questo, novant'anni fa, nel 1927, fondò The Enemy, a review of art and literature. Faceva tutto lui. Disegni, impaginazione, articoli. Per prima cosa, «il nemico» se la piglia con gli amici. Ezra Pound, ad esempio. «Un gigione», autore di un'opera che sa di «antiquariato romantico». Eppure, qualche anno prima, nel 1914, Wyndham Lewis compila, a braccetto con Ezra Pound, Blast, la rivista ufficiale del vorticismo, l'avanguardia dell'avanguardia, l'arte con il manganello, che propugnava impersonalità, istinto, violenza espressiva. Wyndham Lewis, faccia da canaglia, fumatore incallito, capelli lunghi con netta scriminatura nel mezzo e «gli occhi di uno stupratore incapace» (così Ernest Hemingway), fu eccentrico fin dalla nascita. 18 novembre 1882: Wyndham nasce su uno yacht, al largo della Nuova Scozia, Canada, da papà ricco e dissipato che qualche anno dopo il lieto evento abbandona la famiglia. A Londra studia pittura, a Parigi scopre le avanguardie, di nuovo in Albione diventa «il più grande pittore certo il maggiore disegnatore e ritrattista inglese del secolo» (Armando Pajalich) e lo scrittore più originale, di certo il più caustico, «sgradevole, ma robusto» (Mario Praz). D'altronde, come gorgheggia Pound, nel nuovo secolo ci sono solo due «luci spianate, fiamme enormi, forme nuove: Picasso e Lewis». La rabbia è la forza che avvia ogni lavoro di Wyndham Lewis. Eliot considera Wyndham «la più affascinante personalità del nostro tempo». Lui ricambia così: «L'atmosfera da pompe funebri di The Waste Land e dell'ancora più vacuo The Hollow Man assicurano a Mr Eliot un posto di diritto nell'inferno romantico». The Enemy durò tre numeri sciccheria per bibliomani fino al 1929. Il secondo fu destinato a devastare la reputazione di Joyce: «Non c'è un grammo di cervello nel testone vuoto di Mr. James Joyce». Eroico combattente durante la Prima guerra, con Tarr (1918), che racconta in modo torrenziale e psichedelico la storia di due artisti a Parigi, Lewis scrive il primo romanzo pienamente «modernista». Insindacabile eroe della letteratura novecentesca, Wyndham Lewis si mette nei guai nel 1931 quando, con un colpo di teatro, scrive la biografia di Hitler, dichiarandolo «un Uomo di Pace», facendo urlare allo scandalo i chierichetti inglesi ma scontentando pure i nazisti, che mandarono al macero il libro.

Continuò a compilare pamphlet che imbarazzavano tutti come Left Wings over Europe e Count Your Dead. Il caso Wyndham Lewis ricorda quello del Céline antisemita: molti lo citano a casaccio, purché non lo si legga. Tradotto pochissimo e male, di Lewis, autore di una quarantina di libri, tra cui la possente tetralogia (incompiuta) The Human Age, ricordiamo l'urticante Le scimmie di Dio, pubblicato vent'anni fa per un piccolo editore, Mobydick, che è, per 700 pagine, il grande romanzo contro i radical chic e i perbenisti di ogni latitudine artistica.

Wyndham Lewis che «preferì l'essere cieco/ all'arrestarsi della mente» (così lo eterna Pound nel Cantos CXV), morì, necessario come l'urlo di un Tiresia postatomico, a 74 anni, a Londra, nel 1957. Nello stesso anno Geoffrey Wagner pubblicò un primo sunto biografico, Wyndham Lewis: A Portrait of the Artist as the Enemy. Quando è grande, l'artista è un nemico. Per sé e per gli altri.

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