Stop ai pasticci editoriali Lasciate in pace la Merini

Smerciata un tanto al chilo, è stata una vera poetessa Le raccolte postume non aggiungono (quasi) nulla

Stop ai pasticci editoriali Lasciate in pace la Merini

S orte amara per il poeta: Alda Merini è la consorte dei comodini dei poeti in divenire, dei lettori in andropausa, che s'eccitano con poco. Peccato: hanno smerciato Alda Merini «come le patate» (uso il gergo che usava Pasternak parlando della fortuna postuma, sinistra, «stalinista», di Majakovskij), consumandone per irritazione il talento da «ispirata», fragile per natura. Così, non c'è editore che non abbia il proprio libro d'orazioni griffato Merini (solo l'anno scorso: Mondadori ha pubblicato il tomazzo Il suono dell'ombra, Rizzoli il tomino Lettere a un racconto, Sperling Sei fuoco e amore, alcune fatidiche «Poesie in carne e spirito»), rara autrice che vende, e nonostante non manchino i libri davvero degni (La presenza di Orfeo, La Terra Santa, Testamento, Le briglie d'oro), la maggior parte sono sole, raccolte raspate nel solaio lirico della poetessa. Così, attendiamoci tra poco il primo novembre scoccano i dieci anni dalla morte una grandinata di inediti, di libri dimenticati, di croccanti rarità. Einaudi si è preparata in tempo uscendo con Confusione di stelle (pagg. 120, euro 12,50), che mette ordine tra «ben tre faldoni pieni zeppi di lettere, poesie, santini, fotografie e articoli di giornale indirizzati da Alda Merini al critico pugliese Oreste Macrí» (così l'entusiasta Ornella Spagnulo). In realtà, in questo groviglio di faldoni (curato anche da Riccardo Redivo: trattano i testi della Merini manco fossero gli autografi di Dante, i papiri riesumati a Qumran con verità capaci di provocare un cataclisma di scismi), mimando il titolo della raccolta, c'è tanta confusione e poche stelle. Detto che Alda Merini non è Dino Campana e neppure Amelia Rosselli (di cui Garzanti ha rimesso in circolo Le poesie, per fortuna), poesie come Il cornuto («Tu dici di essere cornuto e lo sei,/ perché il mio sentimento vola via/ come una rossa palla»), Apriti amore («Apriti amore e fammi vedere il sesso/ dove fiorisce il senso del pudore,/ sono Saffo infinita»), Silvio («E tu Silvio che amai oltre me stessa,/ medico da strapazzo, medico condotto»), non aggiungono nulla al profilo lirico della diva Alda, anzi, al contrario, lo corrodono. Per questo, in un canone lirico totalmente «maschio» (gioco da scolaretti: dopo la coppia d'attacco «Pascoli-D'Annunzio» c'è il trio «Ungaretti-Saba-Montale» cui segue il poker «Luzi-Caproni-Zanzotto-Sereni» eventualmente da temperare con il tris «Bertolucci-Pasolini-Penna»), il gioco, semmai, è costruire un anti-canone astrusamente «rosa». Beh, assunta la Rosselli l'Atena della poesia italiana sono ben più strutturate di Alda Merini, e meriterebbero migliore attenzione, la straordinaria e levigatissima Antonia Pozzi (l'Opera omnia è edita con intelligenza da Ancora, ma avrebbe bisogno un Meridiano), Daria Menicanti (già pubblicata da Mondadori, traduttrice, tra l'altro, di Paul Nizan e de La campana di vetro di Sylvia Plath), Fernanda Romagnoli (carisma purissimo, scoperta da Attilio Bertolucci, pubblica con Guanda Confiteor, 1973, e con Garzanti Il tredicesimo invitato, 1980), Cristina Campo, a cui sono bastate poche, cristalline, liturgiche poesie («Scrisse poco e vorrebbe aver scritto ancore meno», diceva di sé; Scheiwiller la obbligò a pubblicare, nel 1956, le undici poesie raccolte come Passo d'addio) per stare di diritto nella storia della poesia italiana. Queste le maggiori. Se poi volessimo esagerare, le biografie poetiche da esplorare sono ancora tante (faccio alcuni nomi a casaccio: Margherita Guidacci, Maria Luisa Spaziani, Giovanna Bemporad, Lalla Romano...

) e le poetesse da riesumare, facendo giustizia letteraria, sono altrettante (ne cito due: Adriana Ivancich, l'ultima musa di Hemingway, che ne «Lo Specchio» Mondadori pubblica, giovanissima, nel 1953, a 23 anni, Ho guardato il cielo e la terra, e Mariagloria Sears, un pallino di Silvio Raffo, edita da Mondadori con I leoni sul sagrato, nel 1954, e traduttrice di Jules e Jim). Figuriamoci, chi ha voglia di lavorare davvero dentro la poesia senza fare il becchino ma il chirurgo del meraviglioso? Meglio ripubblicare le care carte della Merini, un usato sicuro, una graffiante griffe.

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