Gli storici divisi sul «genocidio» meridionale

In «Carnefici» Aprile accusa i piemontesi. Mastrangelo parla invece di renitenti alla leva

Ma cosa è stata l'Unificazione italiana per il Sud Italia? Dopo i racconti edulcorati che hanno caratterizzato la nostra storiografia della prima metà del '900 si è sviluppata una nuova visione del processo unitario capace di dar conto anche delle violenze che il Sud ha subito. Alcuni di questi testi revisionisti come i recenti lavori di Pino Aprile (a partire da Terroni) hanno colorato a tinte foschissime il nuovo dominio sabaudo. Nell'ultimo lavoro di Aprile, Carnefici (Piemme, pagg. 468, euro 18,50), si arriva ad adombrare la possibilità, a partire dai dati dei censimenti dell'epoca, che l'occupazione piemontese sia stata accompagnata da un genocidio costato centinaia di migliaia di morti. Per usare le parole di Aprile: «Al Sud, secondo i vari raffronti, mancano da almeno 120.000 a 652.000 persone, forse di più, solo da metà del 1860 al 1861: cifre corrispondenti a una quota degli abitanti del Sud continentale, allora, che va dal 2 a più del 9 per cento. Gli stessi compilatori del censimento, per dire, non sanno come spiegare la sparizione di 405.000 persone, di cui 105.000 meridionali (tutti maschi)...».

Per Aprile molti di quegli ammanchi corrispondono a cadaveri e sono spiegabili con la feroce repressione paragonabile a quella del genocidio armeno. «Il Piemonte - scrive lo storico - univa il Paese e ne sfoltiva parte della popolazione, al Sud, perché recalcitrante: o capivi che lo facevano per il tuo bene e cambiavi testa, o te la tagliavano... e magari la esponevano in paese, per educare i dubbiosi».

Ma c'è anche chi contesta le cifre fornite nel volume: Emanuele Mastrangelo nel nuovo numero di Storia in rete che si intitola Sangue del Sud. Mastrangelo riconosce i meriti di Aprile nell'aver fornito nuovi apporti allo studio della questione meridionale. Ma nega con decisione che si possa parlare di genocidio a partire dal confronto di dati demografici. Fa notare che già gli studiosi di statistica dell'epoca ritenevano i censimenti borbonici assolutamente inaffidabili e gonfiati ad arte. Questo il primo motivo degli ammanchi di popolazione registrati dai più accurati censimenti sabaudi. Fa poi notare che una caratteristica della popolazione rurale del Sud Italia era la renitenza alla leva, lunga e gravosa, del nuovo esercito nazionale. Ergo, gli scomparsi, in gran parte maschi, non sarebbero desaparecidos ma renitenti alla leva che non si facevano registrare nei censimenti. Quindi non ci sarebbe nessun mistero e nessun occultamento di dati. Mastrangelo si avvale anche dell'opinione di alcuni storici della demografia come Giovanni Favero (autore di Le misure del regno, il Poligrafo, 2001).

Dice Favero a Storia in rete: «Il dato dell'ammanco di popolazione, più che di massacri con numeri che non stanno né in cielo né in terra, danno al contrario la cifra dell'effettiva ritrosia da parte delle popolazioni meridionali a collaborare col nuovo governo».

MSac

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