Sulle orme di Thoreau che cercò nei boschi i segreti della letteratura

Una nuova biografia e il "Walden" illustrato celebrano uno dei padri della cultura americana

Sulle orme di Thoreau che cercò nei boschi i segreti della letteratura

Ci sono momenti nella storia dell'umanità rosolati nell'oro in cui cinque anni valgono cinque millenni. 1850: Nathaniel Hawthorne pubblica La lettera scarlatta; 1851: il suo amico Herman Melville pubblica Moby Dick; 1855: Walt Whitman pubblica la prima edizione di Foglie d'erba. Se poi ci mettiamo quel pioniere di Edgar Allan Poe, che raduna i suoi racconti del terrore nel 1845, beh, incrociando gli autori, con le dovute equazioni, abbiamo la letteratura statunitense per intero. Tutto deriva da lì, da quei Quattro. E da un quinto incomodo, «un tipo eccentrico, brutto come il peccato, dal naso gigantesco, dai modi rustici anche se cortesi» (così la didascalia di Hawthorne).

Fu lui, Henry David Thoreau, ad aver stampato, nel 1854, con buona pace degli altri, il romanzo più influente del mondo occidentale moderno, e quella frase su cui si regge, in equilibrio di cristallo, la retorica yankee, «volevo vivere in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, vivere in modo così risoluto e spartano da sbaragliare tutto quanto non fosse vita». Da Mark Twain a L'attimo fuggente, da Hemingway a Into the Wild, tutti a mimare Thoreau, a tentare alchemicamente di tramutare l'arte in vita, la vita in letteratura. Thoreau, faccia da spiritato, occhi enormi, iniettati nella compassione universale recepita dai testi indù, aveva capito ogni cosa a vent'anni. Nel 1837, neodiplomato ad Harvard, scrive sul diario (che diventerà un mostro autobiografico di 47 quaderni e due milioni di parole): «il respiro soffocato del giorno, per la valle, al pascolo e nel bosco, giunge fino a me, e io mi sento a casa nel mondo». L'anno dopo, Thoreau conosce Ralph Waldo Emerson, «il genio dell'America», il «filosofo che gettò le basi della nostra vera religione» (Harold Bloom). Ralph è il Cristo delle lettere from Usa, con una mano benedice Whitman, con l'altra incoraggia la Dickinson, insegnando a Melville e a Hawthorne che ognuno ha un piccolo Shakespeare dentro di sé, bisogna solo trovarlo: Henry diventa il suo profeta, il San Pietro, l'apostolo più caro. Dal 1841 si stabilisce a casa Emerson, fa da precettore al figlio del filosofo e cura il giardino alla bisogna mentre Ralph surfa a pigliare applausi in Europa.

Nel 1845 accade la svolta che darà una scossa alle lettere d'oltreatlantico. Thoreau, figlio di un fabbricante di matite, gira le spalle al mondo, lascia Concord, Massachusetts, in virtù delle foreste. «Quando scrissi le pagine seguenti vivevo da solo nei boschi, a un miglio di distanza da qualsiasi vicino, in una casa che mi ero costruito da solo, sulla riva del Lago di Walden»: eccolo qui l'incipit che ghigliottina secoli di cultura europea con la parrucca e i merletti. La casetta nel bosco, ricostruita e adattata a esigenze turistiche, c'è ancora, presso Walden Pond, e c'è anche una statua di Thoreau, lo scrittore che predicava «semplicità, semplicità, semplicità!». L'uomo che in nome dell'individualismo sovrano rifiutò il consesso civile «la massa degli uomini conduce una vita di silenziosa disperazione» che nel «fievole ronzio di una zanzara» sentiva «un'Iliade e Odissea dell'aria», che «invece di visitare qualche dotto» preferiva la compagnia del «faggio, che ha un fusto così elegante», che mangiava «con gran gusto un topo fritto» sfogliando i Veda, con Walden ha edificato «il totem del ritorno alla natura e dell'anticiviltà, un libro che rischia di essere più venerato che letto, come la Bibbia» (John Updike). Formalmente, il libro è una bestia ibrida, purissima non fiction, la matrice dei romanzi di William Carlos Williams e di William T. Vollmann, una droga per Jack Kerouac, solo che Thoreau, che il 12 luglio compie 200 anni, pare un Peter Pan rispetto al matusa dei beat. Thoreau è un fanatico che porta agli estremi la fuga mundi, senza altro dio che la divina natura, con qualche reminiscenza di Rousseau, i «poeti del lago» Coleridge e Wordsworth nel taschino e una sana fiducia nella reincarnazione.

Dopo di lui, cominciò la folle fuga europea dalla civiltà, verso gli estremi e gli enigmi. Gauguin trova l'Eden in Polinesia, Stevenson che riteneva Thoreau «una femminuccia, c'è qualcosa in lui di disumano» racconta favole alle Samoa, Rimbaud s'imbarca per l'Africa nera e Kipling trova riposo ricordando le tigri del Bengala. Thoreau, più in là di costoro, sapeva che non c'è remoto più remoto del cuore umano e intimava, «siate il Colombo di interi nuovi continenti e mondi dentro di voi, aprendo nuovi canali, non di commercio ma di pensiero». Questo radicale che finì in carcere perché si rifiutava di pagare le tasse che avrebbero finanziato la guerra degli Stati Uniti contro il Messico e che instillò il virus della Disubbidienza civile (così il pamphlet del 1849), strattonato dall'anarchismo di sinistra e dal cameratismo di destra, non offre vie facili al buonismo. Poco bucolico, Thoreau ama uccidere la selvaggina «non possiamo che compiangere il ragazzo che non ha mai sparato» e sa che gli uomini sono per natura cretini, «del leggere come nobile esercizio intellettuale sanno poco o nulla».

Da quando è morto, nel 1862, di tubercolosi, Thoreau è immortale. Per festeggiarlo la University of Chicago Press ha pubblicato la biografia definitiva Henry David Thoreau. A Life (pagg. 640, dollari 26,50), dove Laura Dassow Walls vuol convincerci che l'autore di Walden, senza moglie né figli, «in un'altra vita sarebbe stato con un uomo», e chissenefrega. E in Italia? Thoreau gode editorialmente di ottima salute. Non si contano le edizioni di Disobbedienza civile e di Walden. Di quest'ultimo libro, proteiforme e irto di retorica, l'editore Gallucci ha ricavato un sunto antologico per giovani lettori, Walden, un anno dei boschi, delizioso, con le tavole, mirabili, di Giovanni Manna (pagg. 36, euro 16).

Thoreau, d'altronde, è un santino anche per i nostri letterati. Paolo Cognetti, ad esempio, è un suo pessimo discepolo: va sui monti a scrivere Le otto montagne per ottenere il plauso dalle sette chiese degli intellettuali locali, compreso Premio Strega. Andrea Temporelli, invece, anche lui in catalogo Einaudi, schifato dal ring culturale odierno, in puro stile Thoreau, giura, «potrei non pubblicare più.

Quel che conta è scrivere». In effetti, «Thoreau non avrebbe mai immaginato di diventare un comandante della letteratura americana», scrive la sua biografa, «la reputazione e la fama gli erano del tutto indifferenti». Che corroborante radicalità.

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