Teresa Ciabatti racconta quell'infanzia dorata che la perseguita sempre

Nel romanzo autobiografico "La più amata" la scrittrice rivive il rapporto con il potente padre e l'imprevista fine di un mondo fatato

Padre e figlia/Pixabay
Padre e figlia/Pixabay

La più amata è Teresa Ciabatti. Però, in realtà, lei non è la più amata. La questione è tutta lì, nell'essere la principessa di un padre autoritario, autorevole, il Professore, il primario del piccolo ospedale di provincia (Orbetello), il santo del paese, l'uomo che tira tutte le fila, e non solo della Maremma, visto che ha legami con la massoneria, Licio Gelli, i golpisti... Quella principessa, quella bambina così amata, è una vera principessa? E può restare tale, all'impatto con la realtà? No. La principessa dell'illusione infranta è Teresa Ciabatti, quarantaquattro anni, come si presenta lei stessa, più volte, nel corso del romanzo, La più amata appunto (pubblicato da Mondadori, e che forse sarà candidato allo Strega), una specie di lunga autoanalisi che passa attraverso la storia della sua famiglia.

È la sua ossessione. A quarantaquattro anni, quando suo padre è morto da ventisei, sua madre da quattro e il suo fratello gemello (Gianni) praticamente non le rivolge la parola («tu per me non sei una sorella, dice, hai sempre pensato solo a te stessa») Teresa Ciabatti vuole scoprire perché sia una adulta così: «Egoista, superficiale, asociale». E ancora: «Donna incompiuta», «fallita di mezza età», «incapace di coltivare amore, di costruire rapporti di fiducia - prima o poi tradisco». E anche: «Non so prendermi cura di nessuno», «in quattro anni non ho mai accompagnato mia figlia a scuola», e poi quelle notti insonni in cui «conto quello che ho perso, e mi prende l'ira: sarei potuta essere miliardaria, super miliardaria, ma mio padre non ha voluto, è stata una scelta precisa».

La prima stesura del romanzo, confessa la scrittrice fra le mille altre cose, non funzionava. Per l'editor la voce era «troppo infantile». Le ha detto: «Come può una donna essere rimasta tanto indietro, ferma all'infanzia. Riscrivi, cerca la voce». La voce adulta è quella che scava nell'ossessione, ricerca fra le carte di famiglia, interroga i parenti, i pochi sopravvissuti, il fratello reticente, gli archivi della storia d'Italia: perché lui, il padre-Padreterno, Lorenzo Ciabatti, era gran maestro della Loggia di Firenze, «prescelto a vent'anni dalla massoneria di Siena per stringere rapporti col potere americano». Teresa Ciabatti, bambina, un giorno vola sul tappeto elastico nella villa di Gelli, ricorda ancora la Ferrari gialla in cortile. La principessa, la più amata, era l'alibi per gli incontri segreti. È stata anche, fino a un certo punto, la più amata davvero: quella che poteva chiedere a «papi» qualunque regalo, sognare un futuro speciale grazie a lui e al servilismo di chi lo circondava, toccare e addirittura provare, lei sola, l'anello del padre: l'anello del potere, ovviamente.

Lo spartiacque è il rapimento del padre, nella villa da sogno di Pozzarello, all'Argentario, la prima con una piscina privata in tutta la zona: allora la madre decide di tornarsene a Roma, coi figli. È l'unica volta in cui i bambini, Teresa e Gianni, vedano il padre piangere. Ma il punto è: che cosa è successo, che cosa ha fatto sì che Teresa Ciabatti, professione scrittrice, madre di Agata, veda la sua infanzia e la sua adolescenza come il terreno che l'ha resa la donna incompiuta di oggi (eppure così compiuta che l'analisi le è superflua, tanto ha già fatto tutto da sola...) e, soprattutto, i suoi genitori come la causa di tutti i suoi guai? «Qualcosa nella mia vita è andato storto» scrive. Non è che nella vita degli altri non succeda. Teresa Ciabatti lo sa. Sa che il dramma che cerca non c'è stato, che la colpa resta da attribuire. Sa che certi gesti da bambina viziata risultano irritanti, che i tormenti da adolescente possono renderla ridicola, che la pretesa superiorità sugli altri è assurda. Però li racconta.

Tutto il suo romanzo è giocato sull'ironia, dal punto di vista esistenziale e retorico: l'indagine in profondità, nella storia personale e nel dolore, nelle meschinità, nella vergogna, nella felicità è condotta con uno stile che sdrammatizza, astrae

il passato, confronta illusione e realtà. «Teresa Ciabatti, rassegnati, non sei tu la protagonista di questa storia, non sei protagonista di niente».

Non sarà stata la più amata, però Teresa Ciabatti non si è risparmiata.

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