Q uando uscì, troppo osannato, la Grande Bellezza, io fui tra quelli che si irritarono: vedevo il tentativo di fare il verso a La terrazza di Ettore Scola (1980) contando sulla complicità di chi ieri ancora non c'era. Il film è invecchiato ma formidabile. Perché parlarne? Non solo perché sono i giorni dedicati alla memoria di Scola, ma perché La terrazza riproduce un'Italia dimenticata: quella in cui intellettuali, cineasti dirigenti televisivi, scrittori, professori, storici giornalisti e sceneggiatori ruotavano come elettroni depressi intorno a un solo nucleo: il Partito Comunista Italiano. Sul Pci si accumularono negli anni Settanta e Ottanta tutte le attese e le delusioni umane: dall'angoscia esistenziale ai contratti cinematografici, comprese la rottura delle coppie e la nascita di quelle nuove, malviste dal partito. Scola è stato un comunista militante ma con sensori raffinatissimi. L'ha dimostrato nella Giornata particolare ricostruendo la coralità del fascismo (Sophia Loren che cuce con bottoni di madreperla un ritratto del duce) e nella Terrazza quando espone tutta la tragedia umana nella sua pietosa piaggeria: vite disperate e ipocrite o tenere, ma tutte vigilate dal Pci, detto «il partito».
«Il partito» decideva, condannava, perdonava, distruggeva per sempre. Oggi «il partito» non c'è più e questo è un bene. Ma la perdita della sua inquietante memoria sarebbe una mutilazione dell'identità italiana, se non esistesse un film come questo.«La terrazza» di Scola, in memoria del comunismo ipocrita
Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.